Libero, 12 luglio 2018
De Crescenzo, l’autobiografia di una nazione
Non ci sono più Vittorio De Sica, Totò, Eduardo, Peppino, Titina e Luca De Filippo. Né Massimo Troisi. Lui si, e che viva altri cent’anni in buona salute, come si diceva una volta, perché i novanta- li compirà il 20 agosto- sono una bella età solo se ci arrivi bene, e qui ci siamo, come certifica la foto in copertina di Sono stato fortunato, l’autobiografia di Luciano De Crescenzo, fresca di stampa per Mondadori. L’augurio ha necessità pratiche: quando sarà, non si troveranno altre voci alte per raccontare la Napoli tutta, non solo quella di Bellavista ma anche quella dell’Oro di Napoli, di Miseria e Nobiltà, di Natale in Casa Cupiello, di Ricomincio da Tre. Napoli è il Macondo italiano, luogo della rifondazione del possibile, del quotidiano miracolo di campare la giornata, del dialogo con i morti che, loro si, danno i numeri del lotto, della poesia minima. Il resto, è molto oltre il folklore. De Crescenzo potrebbe essere il professor Santanna con cui il Pasquale Lojacono di Questi Fantasmi chiacchiera bevendo il caffè. Parlarne, ecco, girare la manovella della moviola con la premessa di sentirsi fortunato. Aggiungiamo le dita delle mani ai novanta e facciamo un secolo. In quel 1928 Fleming scoprì gli effetti della penicillina. Il dirigibile Italia cadde al Polo Nord. Sembra passata un’era geologica e chi l’ha vissuta tutta, dice che il destino l’ha guardato di buon occhio. Perché? Se la sua vita fosse trascorsa con la noiosa prevedibilità di chi non dubita, di chi porta al polso un orologio che dà solo l’ora immediata, sarebbe stata una “ciofeca” tutt’altro che eccitante, un tirare a campare. «Fra la noia e lo stress, preferisco lo stress».
SENZA PREMI
Così non è stato. L’ingegnere dell’IBM che qui pacatamente ricorda, è stato anche cronometrista quando Livio Berruti – estate 1960- era il Bolt “de noiantri” e vinceva la medaglia olimpica a Roma. Filosofo e divulgatore dalla penna felice, appassionato di presepi, scrittore. Sinusoidalmente, buono, ottimista, dubbioso, pressappochista, fatalista. Ha vissuto. Le 300 pagine del libro non sono né tante né poche. Il carpe diem di chi nasce saggio sta nella capacità di rallentare il fluire del presente per coglierne l’essenza. Figuriamoci al passato, remoto o prossimo che sia: la sintesi è necessaria quanto un pizzico di cinismo; nel cuore e nel cervello non c’è posto per tutti. Napoli è dialogo, invenzione, canzone, sceneggiata, tragedia e risata. Milano è puntualità, precisione, senso civico, generosità di altro tipo. De Crescenzo ha venduto 30 milioni di libri. È stato tradotto ovunque ma ne parla come se dicesse di un altro. Le mattanze-marchetta dei premi letterari che vanno in tivù l’hanno sempre ignorato. Meglio per lui, è un onore. Più di un best seller è stato clonato proprio sotto il Vesuvio e venduto a metà prezzo sulle bancarelle, insieme alle sigarette di contrabbando. Il successo è anche questo: un tuo romanzo è esposto in un museo in edizione taroccata nell’ambito di una mostra sui falsi. Si comincia dal primo vagito o quasi, papà e mamma non più giovanissimi, sposati grazie a una sensale obesa, avvinghiante quanto un enorme polipo, snocciolano due figli, una bimba e Luciano, in una casa affollata, alla Amarcord di Fellini e anche di più. Una zia dal destino amaro, uno zio simpaticamente bugiardo, una mamma “italiana” che non sbaglia mai anche quando sbaglia, un papà in primis serio, un tantino ingombrante. «Una famiglia non si sceglie. Nasci e te la trovi intorno che ti sorride».
I FLIRT
Era l’Italia dei Balilla che facevano piangere San Luigi e se ne fregavaon di aver trafitto di frecce un dolente e seminudo San Sebastiano. L’altra metà della luna era dietro la porta dei bordelli. Diciottenne lui, vecchia e brutta nave scuola lei, armata di flit -altroché sapone intimo- con cui irrora i pendenti attributi del neo diciottenne. Cilecca. Andrà meglio molti anni dopo, con un’altra prostituta. «Quando passeggiavo con la mia famiglia, mi vedeva spesso passare. Mi salvò dalla solitudine. Le nostre uscite erano come una seduta dallo psicoanalista. La maestrina mi ascoltava e mi offriva consigli per affrontare il divorzio, ma non mi compatì mai». Sul demone dell’amore sapremo che a oggi sono quattro e che De Crescenzo desidera il quinto. Il primo, Lilly dai capelli rossi raccolti in treccine. Il secondo è Giselle, 16 anni lei e 19 lui. «Non erano tanto gli occhi verdi a sconvolgermi, quanto le punte del seno che riuscivo a indovinare…». Gilda, la moglie amata al punto da pensare al suicidio con il gas dopo la separazione e Irenea, reinvenzione della ninfa figlia di Ipno e della Notte, a prova che il mito lo si può anche incontrare, materializzato, in un bar vicino casa. Senza il miracolo saremmo più spaventati. Non per niente De Crescenzo è cittadino onorario di Atene. La Grecia ne sa più di filosofia con la “F” maiuscola che di pensiero debole. L’indice mette in riga diciotto capitoli sussurrati e il “ralenti” di una vita d’eccezione. Si consiglia di leggerli in tranquillità: non è questo un libro da ombrellone. Termina con la parola «tempo». Appunto.