La Stampa, 11 luglio 2018
Il culto del fisico come ragion d’essere. Il mestiere di essere Ronaldo
Essere Ronaldo è un mestiere impegnativo. Il suo mondo gira intorno ai 107 centimetri del torace che esibisce a ogni gol, ma non finisce lì. È un mondo semplice strutturato nel modo più complicato possibile. Ci sono orari fissi, esercizi obbligatori, ripetizioni continue e routine meticolose. C’è tanta gente: case affollate in cui sistemare una famiglia allargata e una schiera di specialisti, nutrizionisti, preparatori, massaggiatori, una folla che si muove secondo un copione fatto di abitudini.
Il rigore degli esercizi
Per chiunque altro sarebbe una gabbia dorata, per l’uomo che fa del culto del fisico una ragione di esistenza è il perno sopra cui incardinare i giorni. E tutto quello che va oltre il rigore degli esercizi, i tripli allenamenti e la dieta costante deve essere essenziale, vitale. Necessario. Non c’è posto per piaceri o pensieri complicati, solo amori forti e amici intimissimi. I figli avuti da donne misteriose, concepiti con madri surrogate e anche con la fidanzata ufficiale, pure lei un concentrato di segreti. Le donne non sono mai proprio in primo piano, ma i bambini sì. Vuole una famiglia numerosa perché è lì che si rifugerà quando tutte le ossessioni saranno un ricordo, quando concederà alla sua età biologica di assecondare quella anagrafica e smonterà la palestra costruita in casa, congederà lo staff che si occupa della cucina naturale. Un giorno che ora non è in programma: inizia una nuova avventura e lui deve ricostruire lo stesso mondo in un’altra città. Non era Madrid e non sarà Torino, piuttosto Ronaldolandia. La sua personale utopia, una fortezza in cui sentirsi protetto, seguito. Giovane.Fuori c’è il calcio e un cerchia ristretta che lo preleva per lo svago e lo deposita nel privé di un concerto o in un riad di Marrakech, luogo deputato alla fuga, città caotica in cui sospendere, respirare, festeggiare. E non può essere un locale vicino al suo santuario, lo contaminerebbe, serve un altrove che lui ha piazzato in Marocco. Ha comprato pure un albergo lì, da inaugurare l’anno prossimo e da marchiare con la sigla diventata nome, industria, identità pubblica che ormai coincide con quella privata. Ronaldo può essere distaccato, concentrato su di sé, ma non è doppio. È il campione che non fa tatuaggi perché ogni mese vuole donare il sangue e il ragazzo padre milionario fiero dei suoi eredi. Far stare tutto in 107 centimetri e non perderne di vista neanche uno richiede dedizione. E scelte precise. L’ego, enorme, è indispensabile: protegge gli affetti e nutre la carriera. Poi si vedrà.