la Repubblica, 11 luglio 2018
Un cielo pieno di altri mondi
Là fuori ci sono miliardi di altri mondi, troppi per non pensare che, davvero, non siamo soli nell’universo. Potremmo chiamarla “legge di Kepler”, il telescopio spaziale della Nasa che ne ha scoperti più di tutti gli altri strumenti messi insieme. Il più grande cacciatore di esopianeti, però, è sul viale del tramonto: il suo combustibile, la idrazina che gli permette di puntare le stelle, terminerà tra pochi mesi. Per risparmiarne le ultime gocce, dopo nove anni di onorevole servizio la Nasa lo ha messo in ibernazione. A inizio agosto sarà risvegliato per scaricare i dati delle ultime osservazioni e poi continuerà a interrogare le stelle fino a che non finirà il carburante. Sono oltre 2.600 i pianeti osservati da Kepler, altrettanti attendono verifica. Quasi tutti in una piccola zona, tra il Cigno e la Lira, grande come una mano tesa verso il cielo.
L’ultima scoperta racconta di due pianeti lontani, 500 e 1.200 anni luce da noi. Hanno un asse inclinato, che potrebbe significare stagioni, proprio come sulla Terra. E si trovano alla giusta distanza dal loro sole, in quella “fascia di abitabilità”, dove non fa né troppo caldo né troppo freddo, perché possa esserci acqua liquida sulla superficie. E quindi, forse, le condizioni adatte per la vita così come la conosciamo.Ogni nuovo annuncio alimenta questa speranza: «Quasi tutti i giorni ci svegliamo e troviamo studi sulla scoperta di nuovi pianeti – racconta Isabella Pagano, astrofisica Inaf dell’osservatorio di Catania – stime recenti dicono che ce n’è almeno uno per ogni stella. E solo nella nostra galassia ci sono cento miliardi di stelle. Quanti ne possiamo scoprire? Questa è la vera sfida».
Il successore di Kepler è già in orbita, si chiama Tess, lanciato dalla Nasa ad aprile. Scandaglierà tutto il cielo per sorprendere i pianeti mentre transitano davanti alle loro stelle. La caccia dunque continua. Trovare un pianeta extrasolare però non è come puntare il telescopio su Marte o Saturno. Fotografarli è difficilissimo. I metodi più efficaci sono quelli indiretti: il transito davanti a una stella oppure osservando la danza di un astro dovuta all’attrazione gravitazionale di uno o più pianeti che le ruotano attorno.
Finora comunque sono oltre 3.700 gli esopianeti scoperti dal 1995. Moltissimi quelli simili a Giove o Nettuno. Alcuni, rocciosi, sono caldi come l’inferno, altri sterili palle di ghiaccio. Nel 2017, attorno alla nana rossa Trappist- 1, ne sono spuntati sette. Almeno due alla giusta distanza per poter essere “abitabili”, uno forse ricoperto da un oceano. La verità però è che ancora non abbiamo strumenti abbastanza potenti per farci un’idea di quello che potremmo vedere posando il piede sul quel suolo alieno: «Non siamo ancora riusciti a studiare le atmosfere di un pianeta di tipo terrestre – sottolinea Pagano – solo quelle di alcuni pianeti molto massicci. Pensiamo a quella della Terra, è sottilissima, sarà difficile anche per il nuovo supertelescopio orbitante della Nasa, il James Webb, catturare la luce filtrata dall’atmosfera di esopianeti così piccoli».
Intanto la lista si allunga. In poche settimane i ricercatori del Mit hanno individuato 80 nuovi candidati analizzando i dati di Kepler. Un’operazione che in passato richiedeva mesi, ma che ora l’uso dell’intelligenza artificiale ha accelerato: a dicembre anche Google ha scoperto l’ottavo inquilino in un sistema planetario che ricorda un po’ il nostro.
Finora nell’album cosmico contiamo soprattutto pianeti con orbite strettissime attorno a stelle per noi molto luminose, cioè vicine. Perché sono i più facili da trovare e studiare. Proxima b è il più vicino di tutti, ad appena quattro anni luce, nella zona “abitabile”. Qui però un anno dura appena 11 giorni e la sua piccola stella è una fornace turbolenta che lo inonda di radiazioni. Se vogliamo trovare un pianeta che sia davvero come il nostro, servirà uno sforzo tecnologico enorme. «Forse uno lo abbiamo trovato – riprende Pagano – si chiama Kepler 452b, ma è molto distante ed è difficile poterlo studiare. Persino calcolare la sua massa». Kepler 452b è il primo pianeta di “taglia terrestre” scoperto nella fascia di abitabilità attorno a una stella simile al Sole. Di questo “gemello della Terra” però sappiamo molto poco, a cominciare proprio dalla sua atmosfera.Nuove speranze sono affidate agli strumenti del futuro. Isabella Pagano è la coordinatrice italiana delle missioni Esa Cheops ( che studierà la formazione degli esopianeti) e Plato, che dal 2026 cercherà proprio i pianeti di tipo terrestre: «Un pianeta simile al nostro è un piccolo oggetto attorno a una stella come il Sole. Con Plato cercheremo proprio i gemelli della Terra, pianeti in orbite più larghe. Per farlo dovremo osservare a lungo nella stessa direzione, perché, come la Terra, li vedremo passare ogni molti mesi davanti alla loro stella».
Ma se potesse disporre di uno strumento da fantascienza per osservare da vicino un pianeta, Pagano non ha dubbi, punterebbe sulla stella più vicina: «Vorrei conoscere tutto del sistema di Alpha Centauri (quello di Proxima b ndr), sul quale si possono scatenare tutte le nostre fantasie. E poi vorrei sapere se c’è davvero una luna attorno a Kepler 1625b, la prima “esoluna”, la cui scoperta è stata annunciata lo scorso anno». Come per i satelliti naturali di Giove e Saturno, anche in altri sistemi solari potrebbero essere proprio le lune, più che i pianeti, ad ospitare la vita. Con orizzonti dove sorge e tramonta magari una coppia di stelle lontane, e colossi gassosi dominano il cielo. Un altro capitolo ancora tutto da scrivere nell’esplorazione del cosmo.