il Fatto Quotidiano, 11 luglio 2018
Recordati, il gioiello svenduto: festeggiano solo i fondi esteri
È da sempre un gioiello pregiato di quell’industria italiana che ha scelto con successo la strada dell’internazionalizzazione. E che ha superato del tutto indenne la crisi finanziaria. Ora quel pezzo di Italia se ne va. Recordati, la storica azienda farmaceutica, una delle ultime grandi rimaste, cambia bandiera e finisce nelle mani dei fondi di private equity.
Il passaggio del controllo dalla famiglia di imprenditori milanesi è stato siglato nei giorni scorsi dopo una lunga trattativa. Il compratore è uno dei tanti fondi d’investimento, l’anglosassone Cvc Capital Partners. Il fondo acquisirà il 51,8% della Recordati posseduto dalla Fimei, la finanziaria che raggruppa i membri della famiglia di imprenditori. Un passaggio di mano che consegna di fatto il controllo delle strategie future dell’azienda ai mastini del private equity, la cui vocazione è “estrarre valore” per mantenere le promesse di una più che adeguata remunerazione ai loro investitori. Adeguata significa almeno a due cifre, e deve anche avvenire in un arco di tempo abbastanza ridotto. Da azienda monolitica di una dinastia familiare ad azienda magari da spezzettare per creare più valore come è nella consuetudine dei fondi di private equity. Più investitori finanziari che industriali.
Già i dettagli dell’accordo hanno fatto storcere il naso agli analisti finanziari. Sotto tiro il prezzo d’acquisto considerato troppo basso da molti broker. Cvc infatti acquisirà la quota del 51,8% in mano ai Recordati per un corrispettivo di 28 euro per azione, con un esborso di 3 miliardi e una valutazione dell’intera azienda di 5,85 miliardi. Peccato che in Borsa il giorno dell’annuncio il titolo valesse oltre 34 euro per una capitalizzazione di 7,1 miliardi. E che i prezzi medi degli ultimi 12 mesi siano nell’intorno dei 34,9 euro. Ballano quindi in meno oltre 1,2 miliardi che Cvc non è disposta a riconoscere rispetto ai prezzi di mercato. Un fatto che la dice lunga sui rapporti di forza nella cessione. La famiglia, dalla scomparsa di Giovanni Recordati, oltre 2 anni fa, si è disunita con i due fratelli Alberto e Andrea, che hanno guidato l’azienda da allora, non sempre in sintonia di vedute. Senza contare il ruolo della vedova di Giovanni anch’essa socio di peso della finanziaria che ha sempre governato la società. Qualcuno dei membri della dinastia voleva da tempo monetizzare il lucroso investimento. E così è successo. Ma la debolezza contrattuale della famiglia divisa si vede anche dalle modalità di pagamento.
Il prezzo pagato ai Recordati sarà di 2,3 miliardi per cassa mentre altri 750 milioni la famiglia li riceverà tramite obbligazioni subordinate. Non proprio un modo veloce per portare tutti i soldi a casa. Ma i più bistrattati sono gli azionisti di minoranza. Cvc dovrà infatti lanciare un’Offerta pubblica di acquisto (Opa) totalitaria sui titoli non in possesso della famiglia. Quel prezzo di 28 euro è a forte sconto rispetto ai prezzi di Borsa. A novembre del 2017 Recordati quotava 40 euro, poi scesi a 34 anche in virtù dell’incertezza sui destini della famiglia che aveva già avviato interlocuzioni per passare la mano. Il fondo anglosassone ha giocato così le sue carte con estrema abilità. Non solo, nei patti c’è una clausola inusuale, penalizzante anch’essa per gli azionisti. Cvc si riserva infatti di allineare al ribasso il prezzo di 28 euro qualora nei prossimi mesi, da qui al closing l’indice Ftse Mib perda il 20%. Una clausola mortificante per i soci attuali. C’è di più. Cvc di fatto assume il controllo e in questi casi si paga sempre un premio sui corsi di Borsa. Qui siamo al mondo alla rovescia: si compra a sconto.
L’affare a ben vedere lo stanno facendo le locuste del private equity. Comprano a basso prezzo una delle aziende quotate più redditizie e con le migliori performance di Borsa di Piazza Affari. Recordati ha invidiabili primati. Il titolo valeva 10 anni fa meno di 5 euro. È salito fino ai 40 euro dell’autunno scorso per poi ripiegare e scendere oggi a 30 per effetto del prezzo proposto per l’Opa. Un crescendo figlio delle folgoranti performance di bilancio. La società fatturava meno di 700 milioni nel 2008, oggi siamo vicino a 1,3 miliardi. Il margine operativo netto è al 31% dei ricavi e l’utile netto ha chiuso nel 2017 a 288 milioni. Vuol dire che ogni 100 euro di fatturato 22,4 euro diventano profitti netti. Solo cinque anni fa gli utili netti si fermavano al 14% del fatturato. Recordati ha un patrimonio netto, frutto degli utili cumulati ed esclusi i copiosi dividendi, di oltre 900 milioni con debiti che sono sì saliti a 480 milioni ma pesano solo per metà del capitale e valgono solo un anno di margine lordo.
Numeri di eccellenza. Che potrebbero venire snaturati dal modus operandi dei fondi locusta. Gli alti flussi di cassa e il basso debito potrebbero in futuro spingere Cvc a indebitare la società per sfruttare al meglio la leva finanziaria e rendere più remunerativo l’investimento sul loro capitale. Cose così si sono già viste in tutte le operazioni a leva del private equity. Una su tutte: la vecchia Seat Pagine Gialle. Fu indebitata all’inverosimile, andò a gambe all’aria e gli unici a gioire furono proprio i fondi. Si spera non accada anche per Recordati.