Il Messaggero, 9 luglio 2018
Da Villa Borghese ai Parioli, il mondo romano di Carlo Vanzina
«Che film mi consiglia oggi?». La cassiera del cinema Roxy Parioli, la prima volta, quasi balbettava, «dice a me?». Aveva lì davanti un maestro del cinema, un regista che di film ne aveva fatti sessanta e chissà quanti ne aveva visti. Bella responsabilità dargli un suggerimento. Poi aveva cominciato a rispondere leggera quando il maestro domandava un consiglio, incoraggiata dai sorrisi e dai quei modi così elegantemente fuori tempo. Lui che avrebbe potuto interrogare tutto il mondo dello spettacolo si affidava al giudizio della cassiera. Ma Carlo Vanzina era così, di una straordinaria semplicità, l’unico forse a non rendersi conto chi fosse Carlo Vanzina. Per il cinema è un’epoca, ma lui non lo dava a vedere nemmeno alla cassa del Roxy. «Ci mancherà tanto, era così dolce. L’ultimo film che ha visto è stato Dogman, da più di un mese non veniva più. A volte arrivava con le idee chiare su cosa vedere, tante altre no». Sempre allo spettacolo del pomeriggio e solo. «È anche capitato che ci fosse con lui il fratello».
La Roma del regista morto ieri era piccola e signorile com’era lui, così lontana dal mondo sopra le righe che raccontava nei suoi film. Tra Parioli e Pinciano: non si era mai allontanato da questo angolo di città. Dalle scuole allo Chateaubriand all’ultima casa dalle parti di via Mercadante. Le passeggiate di mattina a villa Borghese, con un cane ogni giorno diverso. Ne aveva cinque tutti trovatelli, con la moglie Lisa Melidoni condivideva l’amore per gli animali. Lo studio in via Archimede, ai Parioli, a volte ci andava a piedi con Giò-Giò, l’unico cane che lo accompagnava anche al lavoro, se ne era andato qualche tempo fa. Ma spesso era anche in via Angelo Secchi, sempre ai Parioli, nello studio di Lucherini.
La domenica nella chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù in Panfilo, in via Spontini. Prima la confessione, poi la messa. Era questa la sua parrocchia da quando non frequentava più la chiesa di Sant’Agnese in Agone, a piazza Navona, dove seguiva le prediche di don Gianni Todescato. «Una persona buona e semplice», padre Ervin lo incontrava tutte le settimane. «Veniva sempre a salutarmi, vedendolo così tra i fedeli mai avresti immaginato che era un regista così famoso. Non sapevamo della malattia».
IL TIFO
Amatissima Roma, ma c’era una passione più grande di questa città. Ed era la Roma. Non ha perso una partita di campionato, nemmeno negli ultimi mesi difficili. Allo stadio andava con gli amici del Circolo Aniene, Giovanni e Francesca Malagò, Marco Papi, Oreste Fasano. «Un uomo di infinita dolcezza e signorilità», Massimo Fabbricini, presidente del Circolo, era colpito da quella «sobrietà e straordinaria misura. Mai sopra le righe. Sussurrava alle cose». All’Olimpico spesso a fianco di Maurizio Gasparri, «oggi tutta l’Italia è in lutto, perdiamo chi l’ha raccontata in decine e decine di film».
Carlo non amava allontanarsi dai suoi luoghi, «era un abitudinario». Non gli interessano la feste e la mondanità, quelle le lasciava ai protagonisti dei suoi film. Le cene al Ceppo o alla pizzeria San Marco di via Sardegna, niente aperitivi. E poi c’era la Roma dei suoi film, l’ippodromo di Febbre da cavallo, le ville di Fregene (ma solo gli interni) di «Sapore di mare», e poi il «Piper», pizza Euclide de Il cielo in una stanza. Roma era il suo cielo.