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 2018  luglio 09 Lunedì calendario

Il nuovo gioco di Baricco

La faccia un po’ stanca, ma soddisfatta. C’entra il debutto da voce narrante al festival di Spoleto di un monologo divenuto pietra miliare del teatro di narrazione: Novecento, la storia che divenne per Tornatore La leggenda del pianista sull’oceano. C’entra, ma non è tutto. «Stanotte ho dormito poco. Ho inviato la stesura definitiva, dopo due anni di lavoro, di The Game: è il mio nuovo romanzo. Il primo che scrivo per Einaudi Stile Libero. Non lascio Feltrinelli, no. Ma questo lo volevo scrivere per loro: un’immersione quasi in apnea nell’ultima rivoluzione dell’umanità. The Game è una storia di storie del mondo digitale: digitale è una parola che usiamo tutti spessissimo. Che a volte vogliamo spiegare, senza conoscerne il senso. Ecco, io da Space Invaders, il video game, e ancora prima all’Intelligenza artificiale, AI ripercorro quarant’anni che stanno terremotando il nostro mondo. Che stanno imponendo nuove gerarchie, ritmi».
CIRCOLARE
Incredibile quanto circolare sia questo colloquio: la curiosità, con Baricco, nasceva dalla scelta di tornare a leggere in pubblico una sua opera («non lo faccio quasi mai, preferisco, come facevo in tv a Pickwick e Totem, impossessarmi dell’opera degli altri»). La scelta dell’oralità sta grazie al digitale (appunto) tornando centrale nella comunicazione delle informazioni più profonde, quelle che la corteccia cerebrale e la banalità semicerebrale la riescono a penetrare. Gli audiolibri sono un fenomeno culturale e industriale; i podcast stanno trovando spazio nella dieta informativa delle persone e i giornali ci lavorano su, riscoprendo il proprio mestiere di racconto; gli assistenti vocali rischiano di essere qualcosa che va oltre il futuro gadget natalizio.
«Io sentivo l’esigenza di rileggere in proprio questo testo, Novecento, perché gli attori lo abitano un testo, ma solo l’autore può fare come l’architetto che ti porta nel cantiere quando l’opera, palazzo o monumento, non è ancora completato. Novecento lo reciterò solo 20 volte: è un classico cui volevo donare la mia voce. Negli anni Novanta, da Novecento in poi il teatro di narrazione, con Paolini e il Vajont, con Baliani, con Allegri, per cui scrissi questa opera, si sono presi la scena, rubando spazi al teatro di regìa. E anche io un po’, con le mie letture televisive e teatrali. Senza quella stagione non avremmo avuto Buffa, oggi. E noi eravamo così perché spesso il giornalismo era stato capace di raccontare le storie così. Ecco, allora, che la riscoperta dell’oralità mi rende felice. E condivido tanto questo: io, spesso, dico che mi piace il salame perché mi piace il salame. Tendo a dirlo troppo? Forse. Come a fare certe cose per cui, magari, mi prendono anche in giro per certe mie ossessioni, come le letture. Poi però il percorso della cultura e della comunicazione, anche nell’era digitale la voce sarà amata dalla gente, perché la gente sceglie bene. Anche se si tende a fare gli schizzinosi e dire il contrario. Certo, l’oralità, come il digitale, è una cosa complessa. Più complessa che scrivere. E non è da tutti. Come il concetto stesso di mondo digitale: tutti ne parlano, ma chi sa veramente cosa sono stati questi 40 anni di storia».
E allora entriamoci, in questo percorso digitale. Entriamo nel gioco di Baricco. «Il mondo, oggi, è del 10 per cento di persone capaci di abilità che spesso hanno a che fare proprio con il mondo digitale. E di quel 10 per cento, il 95 per cento ha meno di 30 anni. Questi le egemonie culturali non le hanno conosciute: una volta passavi una vita in oratorio o eri del Pci e liberarti di quelle egemonie culturali era complesso. Oggi non è più così: non c’è più una tettonica a placche, ma arcipelaghi. O mappe orografiche come queste».
LA MAPPA
Apre il telefonino, Baricco, e ci mostra una mappa «di quelle che usavamo con gli scout in montagna»: ci sono asperità che hanno il nome di Facebook o Google, Uber, Amazon o prime linee orografiche che sono MySpace, l’Mp3. E in mezzo un fiume carsico che scorre tra le valli e montagne. «È una delle mappe su cui ho lavorato per due anni con specialisti della storia del digitale per spiegare geograficamente i percorsi che ci hanno condotto qui. È la prima parte di The Game, una sorta di Barbari 2: se volessi semplificare direi una storia che ci conduce, in 40 anni, da Space Invaders, il primo videogame di massa che c’era anche nei bar, ad Alpha Go, il software di Google che batte il campione mondiale coreano di Go. La sfida in atto tra uomo e AI, intelligenza artificiale. Provo a spiegare il movimento filosofico, mentale che c’è dentro i cambiamenti: ho scoperto che ci sono sette movimenti mentali che hanno cambiato il mondo».
INCUBATORE
Due anni di vita, mentre trasformava la sua scuola di scrittura, la Holden, in un incubatore di intelligenze creative rivolte proprio a queste trasformazioni. «Le qualità per surfare sul mondo degli arcipelaghi digitali li addestriamo: spiego la filosofia di Google e dei social. The Game è storia e futuro». E il presente, la politica che si autoliquida? I social padroni del dibattito? Non è che c’è un Grande Fratello dietro? «No, anzi prima forse era possibile. Oggi in sei mesi puoi vincere e perdere tutto, in politica. Oggi ci sono solo scappatoie, senza una via principale, vince chi sa gestire i rivoli di fuga perché la massa non esiste più».
Ci salutiamo in un palazzo del Trecento, sotto il Duomo di Spoleto e immersi nella pietra bianca quinta dei Due Mondi. «A Siracusa facciamo il Palamede, vorrei dormire due mesi ma dovrò comunicare tanto di questa rivoluzione digitale per spiegare se ha davvero rovinato noi e i nostri figli. O no». Ma Alessandro Baricco cosa pensa di questi 40 anni di rivoluzione? «Quel che penso è solo nelle ultime due pagine, il resto di The Game è passato a dire cos’è tutto quello che siamo diventati».