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 2018  luglio 08 Domenica calendario

Cotarella, il mago del vino

Riccardo Cotarella è il più grande inventore di vini al mondo. Fisico asciutto, le sue guance sono insolitamente rotonde. Cotarella gusta e sentenzia centinaia di volte in una settimana. Non può mandare giù ogni assaggio. Così il vino passa da una guancia all’altra e basta. L’enologo italiano viene consultato da una cifra impressionante di aziende: ben centodue. L’ultima frontiera è la Russia di Putin.
Sabato pomeriggio al Cavalieri Rome, nella Capitale. Al congresso annuale della Fondazione Italiana Sommelier c’è la degustazione dei vini dell’Usadba Divnomorskoe, azienda vinicola del miliardario Boris Titov, nominato da Putin difensore civico degli imprenditori. Cotarella ha progettato vari vini per Titov. Altri “clienti” storici che si sono rivolti all’enologo umbro (la sua etichetta di famiglia è Falesco) sono D’Alema, Vespa, i Moratti.
Maestro, i russi sanno che cos’è il vino?
Cominciano a capirlo, come è accaduto agli americani negli anni Novanta.
È vero che dietro il vino di Titov c’è Putin?
Non so nulla, mi creda. Comunque Putin non l’ho mai conosciuto.
Per lei, invece, che cos’è il vino?
È un liquido molto complesso, questo presuppone vita, amore, un coinvolgimento di anima, mente e corpo.
Mi perdoni il gioco di parole: il vino è diventato un culto divino. Non si esagera?
No, un tempo c’era il bere per il bere, oggi si degusta, s’apprezza, le persone vogliono sapere dove è stato fatto, se è un monovitigno oppure no.
Ecco, appunto. Talvolta è un’ossessione.
Quando io ho cominciato, e parliamo degli anni Sessanta, l’enologo era una figura molto limitata e contenuta: si doveva rendere conto alle proprietà, dalla scelta del terreno alla vinificazione, dall’invecchiamento all’imbottigliamento.
Anni grigi.
Si producevano vini anonimi, senza infamia e senza lode. La rivoluzione è avvenuta alla fine degli anni Settanta: territori nuovi, varietà nuove. Tutto è cambiato in meglio.
E l’enologo è diventato inventore.
Io progetto vini, a partire dalla vigna.
Il suo ruolo è cruciale: lei “compone” i vini nella parte finale. Tanto di questo, tanto di quello, e così via.
Però è più difficile fare un vino da un’unica cultivar, cioè con una sola qualità di uva.
I suoi assaggi sono sempre Cassazione. E la sua bocca, come testimoniano le guance, unica e preziosa. Vale oro per cento e passa aziende.
Le papille gustative sono dei muscoli.
Lei decide gusti e tendenze.
Non esiste un trend prevalente, le richieste del mercato sono tante. In ogni caso non dimentichi che il momento biologico della fermentazione è anarchia pura. Lì nessuno può intervenire.
Cotarella s’interrompe. Al Rome Cavalieri, per i vini russi concepiti dall’enologo italiano, è arrivato Massimo D’Alema. L’ex premier si ferma al tavolo della nostra conversazione. C’è anche Massimo Maiorino, che cura le relazioni istituzionali per la Fondazione Sommelier. “Ciao Riccardo, ciao Massimo”: D’Alema passa subito al giudizio tecnico sulla produzione di Titov, tra uve, esposizione e risultato finale. La discussione si concentra sul Pinot Noir, monovitigno che dall’Italia, insieme ad altre varietà, il mago enologo ha trapiantato nella regione di Krasnodar, nella Russia europea e meridionale.
Il Pinot Nero è pure il fiore all’occhiello della Madeleine, la tenuta che Linda e Massimo D’Alema gestiscono in Umbria. Passa infine Franco Maria Ricci, presidente della Fondazione Italiana Sommelier, che ha organizzato l’XI Forum internazionale della Cultura del Vino con il capo dello Stato, Sergio Mattarella. Per Ricci, il futuro dell’Italia è questo: “Pomodoro, basilico, vino e Colosseo”. L’intervista può riprendere.
Maestro, a destra e non solo, in passato i vini di D’Alema sono stati liquidati con sufficienza.
Credo che questi giudizi risentano del pregiudizio politico nei confronti di Massimo. Invece lui è molto preparato e competente, sa quello che dice e sa tutto sui vini francesi: in sei anni abbiamo fatto quattro “rossi”. Adesso stiamo programmando insieme un viaggio.
Dove?
In Cina.
Un’altra frontiera da conquistare.
Andiamo per vedere e studiare.
Com’è nata la vostra collaborazione?
È stato lui a cercarmi.
È l’unico politico?
Per il momento sì. Ora mi ha chiamato Renato Brunetta, che vorrebbe fare vino nella sua tenuta qui a Roma, al Divino Amore.
Tra le sue aziende ci sono anche quelle di Bruno Vespa e dei Moratti. Lei va d’accordo con tutti?
Sempre.
Lei ha collaborato con il governo Gentiloni. A che vino lo paragonerebbe?
Il Chianti.
Un vino fermo.
Dava più certezze, Gentiloni.
E i giallo-verdi di Conte, Salvini e Di Maio?
Un Lambrusco, un vino dal carattere scomposto.
Diciamo così.
Però il Lambrusco fa il botto, speriamo che pure questo governo possa fare il botto per il bene dell’Italia.
A proposito, Berlusconi l’ha mai contattata?
L’ho conosciuto, ma lui è astemio. Non beve.