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 2018  luglio 08 Domenica calendario

Colleziono dunque sono (felice)


Tra collezionisti gira la storia di un filatelico talmente attaccato ai propri francobolli che la fidanzata, una fanciulla deliziosa sotto ogni aspetto, un giorno ne ebbe abbastanza e di punto in bianco rivelò un lato meno incantevole della sua personalità, pronunciando le poi celebri parole:Eat your stamps or I’ll leave you! E dato che si trattava di un’epoca in cui i francobolli erano ancora fatti di carta, e non come oggi parzialmente in lamina di alluminio, plastica e altri materiali innominabili, il giovanotto trovò ragionevole accogliere la richiesta. Mangiò la sua collezione. Era vasta. Quindi ci volle tempo. La mandò giù un po’ per volta. E poi vissero felici e contenti.Che la storia di questo piccolo dramma abbia messo le ali e ormai viva di vita propria non è affatto strano, perché non riguarda solo la questione del prezzo dell’amore, ma anche un altro intramontabile argomento: la persona del collezionista e la sua passione. La prima volta che l’ho sentita mi è subito venuta in mente una sua variante più antica ma abbastanza simile. La storia di Betulander e della sua caustica sposa, che compare in un’ormai dimenticata raccolta di novelle di Gustaf Janson, dell’inizio del secolo scorso. Il libro si chiama Ön ( L’isola) e si svolge a Runmarö, nell’arcipelago di Stoccolma, dove Janson trascorreva le estati, e il vecchio Betulander un tempo è esistito davvero, anche se con altro nome.Carl Gustaf Hoffstein (1850-1916) era un falegname alcolizzato che a un certo punto degli anni Ottanta dell’Ottocento si stabilì a Runmarö, un tragico sbandato che di certo sarebbe stato inghiottito dalle tenebre della Storia se non fosse per le sue collezioni e per il ritratto che ne fece Gustaf Janson. Era un collezionista di reperti naturalistici, Hoffstein, alias Betulander, e si era lanciato nella carriera, cosa alquanto insolita, in età adulta, quando già stava scivolando lungo la ripida china dell’alcolismo. Caso volle che un’estate ottenesse un impiego sull’isola come assistente di campo di un professore di Stoccolma, un grande botanico, che aveva bisogno di aiuto per le sue collezioni. Fu così che Hoffstein trovò la propria strada nell’esistenza. Negli ultimi trent’anni della sua vita, mise insieme una collezione naturalistica impressionante sotto ogni punto di vista, composta da tracheofite e muschi in erbari strapieni, ma soprattutto da insetti, in quantità infinite, scrupolosamente spillati e catalogati in vetrine che costruiva da sé nel suo capanno. Certo, continuava anche a bere, ma chiunque legga Janson o veda le sue collezioni sopravvissute avrà l’impressione che questa passione abbia dato uno scopo e un senso alla sua vita. E il fatto, forse inevitabile, che sua moglie si lamentasse con le altre donne dell’isola e commentasse acidamente che tutti quegli insetti non portavano molto cibo in tavola, be’, evidentemente poteva tollerarlo. Chissà, forse anche lei strinse i denti. Mi piace credere che, malgrado tutte le privazioni, anche lei vedesse i vantaggi della situazione.In ogni caso le collezioni esistono ancora, per quanto in parte in pessime condizioni, per la gioia di tutti noi, specialmente la mia, perché anch’io vivo su quell’isola e raccolgo reperti naturalistici. Mosche, per essere più precisi. Sirfidi. È una storia lunga, che non racconterò qui. Né dirò cosa ne pensa mia moglie. Al momento la mia ambizione è più grande, ovvero portare un minimo contributo alla discussione sulla psicologia del collezionista. Perché lo fa? Ed è proprio vero, come si dice, che i collezionisti sono pazzi? No. Il collezionismo non è un inizio di follia. È esattamente il contrario. Cosa che non si arriva a capire senza tornare un bel po’ indietro nel tempo. Bisogna partire dall’inizio – dalla preistoria – e da un’invenzione geniale nella sua semplicità. La borsa.È stato lo scrittore Lasse Berg a mettermi l’anno scorso su questa pista. Certo, anche
a me era già capitato di pensare che le risposte andassero cercate nello studio della cultura di cacciatori e raccoglitori agli albori dell’umanità, ma la cosa mi è parsa davvero lampante solo alla lettura dello straordinario libronelle vaste aree desertiche dell’Africa meridionale, ha avanzato l’ipotesi che proprio la borsa sia stata una delle invenzioni più rivoluzionarie dell’umanità: la borsa è fondamentale in quanto prerequisito necessario per una raccolta efficace di radici, frutta, bacche e altro cibo. Come l’invenzione della ruota, ma meglio.Forse è per questo, mi venne da pensare, che una borsa è un omaggio così imbattibile quando si tratta di indurre la gente a comprare cose di cui non ha bisogno. Non esiste offerta più attraente. E noi ci caschiamo, sempre. Non sarà forse, penso con un brivido, perché la borsa risponde a uno dei più fondamentali bisogni umani? Respirare, mangiare, dormire, riprodursi… e avere una borsa in cui raccogliere cose. Molti dei bisogni e dei comportamenti degli uomini primitivi sono giunti pressoché inalterati fino ai giorni nostri. E uno di questi è indubbiamente il bisogno di spostarsi liberamente, cercare e raccogliere, e poi mostrare quel che si è trovato.Per questo è singolare che il collezionista, nella cultura popolare, venga rappresentato non di rado come uno svitato, un pazzo che non va preso sul serio, o un bambinone cresciuto, quando non addirittura un criminale o un pervertito, o entrambe le cose, come il protagonista dell’ambiguo romanzo giallo di John Fowles, Il collezionista.Non so dire di preciso perché sia diventato così. Ma per quanto riguarda la pazzia, sono sicuro di quel che dico: collezionare per il proprio piacere è un modo di evitarla. È raro che il collezionista vada in tilt, rischia meno facilmente di altri la depressione. Cosa si raccoglie non ha grande importanza. Insetti, arte o cavatappi, fa lo stesso. In particolare i collezionisti naturalistici, in modo imbarazzante, hanno la tendenza a nascondersi dietro l’utilità e la scienza della classificazione non appena entra in gioco la questione del motivo della loro raccolta. Come se la gioia fosse qualcosa di cui vergognarsi. Non fanno che ribadire di essere spronati dal desiderio di contribuire alla scienza, cosa buona e giusta, ma che dà l’impressione che sia tutto lì, o che sia quello l’essenziale. La mia buona educazione mi impedisce di chiamarla ipocrisia, anche se ogni volta che sento mettere l’utile davanti al dilettevole mi vengono in mente quei cacciatori che si ostinano a definire la loro passione come essenziale cura della fauna selvatica e non come il riflesso del radicato bisogno umano di eccitazione e trionfo. Onore alla scienza, ma è la savana che affascina e attrae.Una scoperta a un mercato delle pulci, o un’inattesa preda di caccia, scatena una peculiare euforia che, ne sono convinto, è rimasta pressoché identica per milioni di anni semplicemente perché la biochimica di quell’esaltazione una volta serviva all’umanità per sopravvivere. Molto è cambiato, ma non questo. Poi, che i freudiani dicano quel che vogliono. Anzi, potrebbero contribuire con riflessioni interessanti – per esempio sul bisogno di controllo del collezionista, o sul suo desiderio di proteggersi da un mondo caotico e brulicante in cui tutto corre un po’ troppo in fretta.Nulla è davvero rilassante quanto andare a caccia di qualcosa e poi catalogare quel che si è trovato. In questo senso il collezionismo somiglia a quelle attività che possono sembrare inutili, ma rasserenano e ritemprano chi vi si dedica, facendogli dimenticare per un po’ tutto il resto. Sé stessi, per esempio, cosa che nella nostra epoca narcisistica è più che riposante. Lo ripeto: il collezionismo rinforza gli argini quando la follia minaccia di far saltare le dighe dell’anima. Provate a far uscire di senno un abitudinario collezionista di – mettiamo – scatole di fiammiferi. Ci si riesce, ma è difficile. Mandare al tappeto un normale spettatore televisivo o un patito di ipermercati è ben più facile.Che le donne tendano a collezionare oggetti utili, mentre gli uomini sono più attratti da oggetti rari, per quanto inutili e brutti, non ha bisogno di significare altro del fatto che, nel corso della storia, non è mai stato del tutto socialmente accettabile che una donna si riempisse il cortile di auto arrugginite. Per esempio. Tra l’altro, proprio il collezionista di carcasse di macchine è un caso interessante. L’opposto del collezionista di mosche, si può dire. Lo si ritrova dappertutto, in ogni villaggio e paese, quello che non sa dire di no a nessun tipo di catorcio – auto defunte e attrezzi agricoli dismessi, motociclette, trattori, roulotte e macchinari fuori uso di origine sconosciuta, più grandi sono meglio è. Cosa se ne faccia non è facile dirlo, e ogni volta che ci si passa davanti, tutte le teorie sul collezionismo come modo per sfogare il desiderio di ordine vanno a farsi benedire. A malincuore si è costretti ad accettare il fatto che i collezionisti non si lasciano definire, non come gruppo. L’unica cosa che hanno in comune è la gioia di cercare e trovare e sognare il non plus ultra dei reperti.Come poi venga gestita questa passione ha infinite variazioni. Sono innumerevoli le storie di persone che si riempiono la casa o l’appartamento di un oggetto dopo l’altro, finché quasi non c’è più posto per loro. A quel punto, la loro dolce metà se l’è in genere già filata da un pezzo. I collezionisti compulsivi di libri appartengono a questa categoria, così come quelli che non sanno resistere alla tentazione di accogliere l’ennesimo gatto randagio. Mentre scrivo, i tabloid si stanno scatenando sul caso di una signora scoperta con una dozzina di cigni reali vivi nel suo monolocale all’ottavo piano, nel centro di Stoccolma. Anche questo può capitare a chi colleziona in grande.Ovviamente sono eccezioni. È più comune che il collezionista viva avvolto da un invidiabile benessere, circondato dalla tenera, a tratti ironica comprensione di chi gli sta vicino, o in compagnia dei propri simili con cui a volte va in spedizione con la borsa in spalla. A caccia. La collezione in sé può assumere qualunque forma. E la cosa migliore – ultima consolazione ed estrema sicurezza – è che ci si può liberare della paccottiglia donando la propria collezione, vendendola, gettandola via, nascondendola in soffitta o, come si è detto, mangiandola. Be’, forse non vale per chi colleziona trattori, ma molte raccolte si prestano di certo a essere consumate, il giorno in cui sull’altro piatto della bilancia ci sarà l’amore, quello vero. ?