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 2018  luglio 08 Domenica calendario

Ladri di biciclette

Segua quella macchina! Ci vorrebbero più esclamativi, ma quante volte abbiamo ascoltato questa imperiosa, concitata battuta ordinata al taxista. Il cinema ha sempre giocato con le macchinine (la prima volta era un treno ma il risultato non cambia), le ha messe in moto, ha accelerato, sgommato a più non posso, perfino Bergman giovane ci ha provato. Le auto dei film, specie quando è arrivato il suono stereofonico, hanno a lungo occupato le marce del nostro inconscio di guidatori e non a caso la saga di Fast and Furious (e prima di Speed), complice il miracolo digitale, è la più amata ed è arrivata a 8 episodi: il nono è prenotato per il 2019, il decimo nel 2021.
Ci vorrebbe un libro per raccontare quanti furti (e inseguimenti, e quante scazzottate, quante sirene della polizia e incidenti negli incroci di Los Angeles), seguiti col batticuore come avessimo il semaforo incorporato, quanti fumi infernali newyorkesi (Taxi Driver) hanno occupato schermi prima piccoli, bianchi e neri, poi enormi e a colori. In moltissimi film l’auto è la star, si racconta come in una biografia a motore – Una Rolls Royce tutta gialla, la serie del Maggiolino tutto matto oltre ai cartoon Pixar Cars e anche Il sorpasso – altre volte è un roboante bolide che sbraita, eccede sulle piste infernali di Les Mans o Indianapolis. I destini sull’asfalto di tanti divi, da Clark Gable a Kirk Douglas fino al vero campione Steve McQueen, sempre con una moglie o una mamma in pena.
Come si può non pensare di rubare questo aggeggio portentoso e status symbol, la macchina? Così si lavora almeno agli archetipi di tre generi primari: i film di gangster o noir (anche qui elenco infinito, basta pensare a Belmondo o Delon quante marce illegali hanno ingranato); film d’avventura, rapine e colpi grossi, in banca, al Casinò ma anche nei desolati market della provincia americana, tutti hanno bisogno del complice a motore acceso all’uscita; e anche la commedia vuole la sua parte, hanno rubato l’auto i Soliti ignoti, la rubano i francesi Tre uomini in fuga, la rubano la Streisand con O’Neal nel capolavoro di Bogdanovich Ma papà ti manda sola?, ripetendo le gesta della grande commedia sofisticata di Hawks Susanna con Cary Grant e Katharine Hepburn. E, per stare sull’attualità, frega un’auto di un borghese piccolo piccolo anche Micaela Ramazzotti con Valeria Bruni Tedeschi in La pazza gioia di Virzì.
C’è chi esagera: per esempio Valerio Mastandrea ruba un autobus di linea in Viola bacia tutti. E ci sono plot basati esclusivamente sui furti d’auto, specializzazione del genio della rapina. In La fine del gioco di Peter Werner, 1987, che condivide il titolo originale No Man’s Land con Pinter, c’è un giovane poliziotto che, infiltrato in un’officina che funge da copertura per furti d’auto, rimane colpito e affascinato da uno dei balordi rapinatori (Charlie Sheen, prima di vedersela coi furti di Wall Street), s’innamora della sorella e gli riuscirà complicato scegliere la legge.
Difficile fare dei capolavori sui furti d’auto, magari viene meglio con i colpacci d’arte o gioielli: l’auto serve quasi sempre per aumentare il tasso di adrenalina, tanto che sono davvero incalcolabili le scene di inseguimento, dove le macchine hanno preso il posto dei cavalli dei western (Solo sotto le stelle insegna). Di inseguimenti che trasmettono elettricità ce ne sono centinaia: fuori classifica si citano Bullitt, Il braccio violento della legge e i già citati sbalorditivi Fast and Furious dove di macchine dal 2001 a oggi, fra Diesel e Walker, ne hanno scippate molte. Furti d’auto sono materia comune nel cinema della Grande Depressione, i tempi dei furori steinbeckiani: rivedere per credere Gangster Story di Penn e Il clan dei Barker di Corman. E c’è un piccolo cult che allora, nel ’74, passò inosservato, Rollercar, 60 secondi e vai diretto, scritto, montato, recitato e distribuito da H. B. Halicki (autore, attore e stuntman morto mentre girava il sequel) e di cui circola carbonara una versione con extra in video. Lui comanda una banda di ladri d’auto che per 400 mila dollari accetta di rubare 48 macchine in una settimana, tempo di esecuzione max 1 minuto. Le prime 47 vanno via lisce come l’olio, ma la quarantottesima, una Mustang Mach gialla, si rivela tosta. E nel secondo tempo c’è un massacro di inseguimento peggio di Week end di Godard, con 100 macchine al macero in 40’. Ne è stato poi fatto un sequel diretto da Sena col mediocre Nicholas Cage che, ricattato, fa quel che può per salvare la vita al fratellino, cercando di fregare 50 bolidi in 72 ore. E per restare sul tema, c’è anche un titolo più raffinato, Overdrive del 2017 in cui una banda ruba auto d’epoca, riccamente vintage. I fatti: due fratelli scippano solo Ferrari o Bugatti ed è proprio un modello di quest’ultima del 1937, da due milioni di dollari, che crea il caos sul volto del figlio d’arte Scott Eastwood, mentre il papà aveva appena finito di raccontare la storia bellissima di Gran Torino.
Rubare la macchina è quindi una pagina in divenire del cinema che racconta la malavita e i ladri, arrivando a The Italian Job, brillante esercitazione del 2003. Qui Mark Wahlberg, Charlize Theron e Edward Norton, cast di lusso, si adoperano per un furto e una rapina in mezzo al traffico con un inseguimento in Mini Minor. Quando si dice automobile al cinema si pensa in primo luogo al fracasso (Il bandito e la Madama con il macho Burt Reynolds o Citty Citty Bang Bang col raffinato Van Dyke), certo non alle pause o ai silenzi di Kurosawa, Kieslowski o Resnais che forse le macchine non le avevano mai viste né tantomeno sognato di rubarle. Fellini sì le conosceva, gli sono piaciute per alcuni anni, e in una scena di Amarcord ci mostra il passaggio della Mille Miglia. Quando si accelera sul pedale della commedia fa faville Blake Edwards in La grande corsa, in onore al genere slapstick di Stanlio e Ollio, come Questo pazzo pazzo pazzo pazzo mondo di Kramer in cui le macchine sono il traino scatenato per raccontarci del cinismo e dell’avidità degli uomini.