la Repubblica, 7 luglio 2018
Asap
Asap, dolce asap. Ti vedo fiorire negli interstizi di email frettolose ma non brusche; ti sento pronunciare da labbra a cui non sono estranee né la cortesia né la consuetudine con altre espressioni in stile, per dirne una: «acca ventiquattro». Mi prometti sollecitudine, nei limiti delle possibilità, dolce asap; mi fai sentire compreso non solo nei miei problemi ma anche nella loro urgenza. Significhi esattamente la stessa cosa dell’odioso “attenda in linea”, ma ne rovesci la colorazione affettiva: da «non ho tempo per te» a «non appena avrò tempo per te». Non metti cioè l’enfasi sull’impedimento ma sulla certezza che prima o poi l’impedimento, come tutte le cose umane, cesserà e allora sarà bello, per chi ti pronuncia, dedicarsi a me. «Tanto presto quanto è possibile»: questo vuoi farmi capire: eppure non dici: “tpqep”, come sarebbe deplorevolmente impronunciabile, e per nulla dolce. No, le tue iniziali sono quelle di «As soon as possible», perché un po’ di inglese tutti devono masticarlo e anzi è meglio che comincino a masticarlo proprio “asap”, il prima possibile, cioè all’età più precoce. A pensarci, «il prima possibile» non è poi più lungo di «as soon as possible» e volendo ha un acrostico anche più allegro: «ipp». Ma tu, dolce asap, hai vinto: anche se sembri una parola letta al contrario, o la sigla di una municipalizzata, o il nome della protagonista di una fiaba anatolica ti preferiamo a qualsiasi tuo possibile equivalente, o meglio: pallido succedaneo. Questo succede perché sei in inglese; anzi: perché sei inglese. «Asap» è mentalità anglosassone, ancor prima che lingua inglese. «Etica protestante e spirito dell’asap». Grazie, allora, asap, dolce e accogliente asap. Thank you.