la Repubblica, 7 luglio 2018
Cocco, cocco bello
«Cocco, cocco bello!». L’uomo con il cappello di paglia in testa attraversa la spiaggia emettendo a ritmo cadenzato il suo invito. Regge in una mano un canestro, contiene il frutto, nell’altra un secchio per rinfrescarlo. Sono porzioni di noce di cocco, il frutto della palma di cocco: Cocos nucifera. Detta anche “Albero della vita”, è una pianta della famiglia delle Arecaceae. Il suo nome sembra derivi dagli esploratori spagnoli che la scoprirono, per cui “cocco” significa “muso di scimmia”; le tre tacche e il fondo peloso del frutto ricordavano loro quello di una scimmia. Viene dall’Asia e dall’America centrale, e anche dall’Africa. Sulle spiagge italiane è arrivato negli anni 60, quando i venditori ambulanti di cocco comparvero per la prima volta in modo massiccio. Frutto tropicale, era allora una vera novità. L’urlo del venditore si riempie oggi di altre informazioni organolettiche: «Contiene vitamine, ed è buono!». Alto valore nutrizionale; la polpa cruda ha proteine, carboidrati, zuccheri, potassio, fosforo, sodio, calcio, magnesio; e poi vitamina C, E e B3. Piace per il suo gusto fresco e perché si mastica pian piano. Una fetta costa 1 euro, prezzo fermo da almeno un paio d’anni, dopo aver superato il salto delle lire alla valuta europea. Possiede qualcosa d’incomparabile che, nonostante l’apparizione di nuovi frutti provenienti da lontano sulle tavole degli italiani, la rende unica: è un frutto esotico. Evoca le isole Hawaii, le palme, i gonnellini delle danzatrici rituali realizzati con le fibre dell’albero. Non si sa bene dove sia nata. Si pensa nell’arcipelago indonesiano e forse in Sud America. Ma già nell’antichità si trovava nel Pacifico, cui è associata. La dobbiamo ai portoghesi e agli spagnoli che la videro sulle coste occidentali dell’America centrale a metà del 1500. Da allora si coltiva per il frutto, ma anche per l’acqua che ogni noce contiene, molto dissetante e ricca di proprietà benefiche. Oggi i venditori di “cocco bello” – evocazione che implica un gioco di parole riferito al bambino o anche all’adulto – si trovano in tutte le spiagge italiane. Due anni fa un’inchiesta dei carabinieri appurò che nel Sud esisteva un racket dei venditori di cocco sulle spiagge, che faceva capo alla camorra o almeno ad alcune delle sue famiglie. Possibile che sia un’attività così remunerativa? Probabilmente sì se la criminalità organizzata vi si è dedicata con costanza. Oggi, il venditore visto all’opera su una spiaggia della Liguria, dal grido non così stentoreo come nel Napoletano o nella Campania, meno spiritoso e divertente dei venditori del Sud, non sembra fare troppi affari. Vende, ma non stravende. La fetta si è abbastanza ristretta per non superare l’euro. E i bambini sono attratti da altri alimenti, in particolare quelli confezionati. La pubblicità del grido non regge i ritmi della Tv e del web?