Corriere della Sera, 7 luglio 2018
Scendono nella grotta a salvare i bambini
«Hooyah! Hooyah! Hooyah!». Forza, forza, forza. Tirateli fuori, ragazzi, e fate presto. Schierati sull’attenti fra tredici ambulanze, come le tredici vite che devono andare a salvare. Concentrati come pugili muay che s’incoraggiano per l’ultimo dei combattimenti, o per il sacrificio estremo. A mezzanotte muoiono tutte le illusioni e nella luce delle fotocellule i Navy Seals thailandesi giurano sulla missione. Nessuna trivella scenderà dal monte, niente attese pericolose, ma quali lezioni di nuoto, l’unica via è quella che s’è sempre immaginata: immergersi quanto prima nella grotta delle trappole, scivolare dentro il pantano per quattro chilometri, aggrapparsi alle rocce strettissime, strisciare sugli speroni taglienti. E andare a prendere per mano quei dodici campioncini col loro allenatore. Veloce, bisogna fare veloce: sta arrivando il monsone, e già si scuotono i banani ai piedi del monte; lampeggia nel buio, e tutt’intorno le risaie s’illuminano come flash. Un po’ sì e un po’ no, cade sottile qualche goccia di pioggia. Su le maschere. Chiudere le mute. Aprire le valvole del nitrox e dell’aria compressa. Gli incursori della Marina si radunano sotto un tendone, all’ingresso del dedalo sotterraneo di Tham Luang, per ricevere istruzioni che già conoscono. Manca solo l’ordine finale. Nel campo risuona l’hooyah, il grido di battaglia di tutti i Navy Seals del mondo, e stasera è anche il pianto funebre per Saman Kunan, il sommozzatore morto perché là sotto non respirava più. La promessa dei suoi commilitoni, scritta sul web: «Non abbiamo perso il morale, Saman! Non sei morto invano! Tu riposa in pace, noi andiamo a compiere la missione. Proprio come volevi tu».
Li vogliono portar fuori a due a due, a partire da subito. Tenuti legati ai diver, una maschera facciale con l’ossigeno necessario a respirare e a parlare. Si comincerà dai ragazzini più robusti e meno inesperti dell’acqua. Ultimo sarà Ekapol, il coach che ha fatto il pasticcio e però ha tenuto viva la sua squadra. Se non ora, quando? Mentre gli incursori s’esortano a vicenda, e si preparano a scendere, è quasi l’una di notte quando il governatore di Chiang Rai, Narongsak Osatanakorn, si decide finalmente a tenere una conferenza stampa rinviata quattro volte, e solo per dirci che l’operazione salvataggio non si svolgerà nella nottata: i ragazzi possono camminare, questo sì, ma non sono pronti a nuotare sott’acqua, e insomma ci penseranno casomai i sub a portarli fuori... Ok, ma come? E qual è il piano? Risposte che non sono risposte. Domenica saranno secchiate d’acqua dal cielo, e dunque non rimane che un giorno. Entrare nel dedalo e uscirne, richiederà almeno undici ore. «È una corsa contro il tempo», spiega Ben Reymenants, un sub belga: «Il percorso è difficile, un labirinto di corridoi, immersioni e un chilometro e mezzo d’arrampicate. Ma le correnti e la visibilità sono buone e alla fine i ragazzi non dovranno stare molto sott’acqua». La sagola per aggrapparsi e tirarsi fuori è sistemata, gli autorespiratori pure, in ogni cavità sono state piazzate tre bombole d’emergenza, all’uscita dei tratti sommersi ci sarà un medico per controllare che tutto vada bene. A questo punto, servono solo fortuna e coraggio. Se ne avrete e ce la fate, promette la Fifa ai ragazzi, venite tutti a Mosca a vedere la finale dei Mondiali.
Se ce la fanno, dopo un venerdì come questo, è un miracolo. «Stay strong!», urla il mondo del grande calcio – dal vecchio Ronaldo a Klopp – ai piccoli calciatori. Forza, forza, forza. La brutta fine di Saman, che riemergendo nella grotta s’è trovato senza ossigeno ed è riuscito solo a strattonare due volte la cordicella bianca per dire ai compagni che le cose non andavano, ha gelato tutti con una domanda: come possono salvarsi ragazzini che non sanno nuotare, laddove muore perfino un sub esperto? Qualche pasticcio c’è stato. Troppi soccorritori avanti e indietro nei cunicoli, che hanno reso ancora più rarefatta l’aria: il livello d’ossigeno è sceso dal 21 al 15%, quando basta il 18 per andare in ipossia, e anche questo ha suggerito di fare presto. Ai ragazzi è arrivato un tubo lungo cinque chilometri con l’aria che serve, ma è chiaro che siamo all’emergenza finale. Anche la ricerca dei tredici passaggi dall’alto, mappati in questi giorni da squadre di duecento geologi e speleologi, si sta rivelando una mezza bufala: l’ultimo, annunciato ieri pomeriggio con molta enfasi, «a due-trecento metri dai ragazzi», sarebbe in realtà un cunicolo quasi occluso, impossibile da attraversare e difficilissimo da trivellare in tempi brevi (senza dire del pericolo di frane).
«Le circostanze sono cambiate molto rapidamente», ammette il comandante dei Navy Seals, Arpakorn Yookongaew: «Pensavamo d’avere più possibilità per salvare i bambini. Ma ora il limite del tempo s’è fatto più stretto». L’ossigeno che può calare, l’acqua che può salire. E una vedova che piange la prima vittima di questa storia: «Il mio Saman amava aiutare gli altri». La bara del sottufficiale Kunan, 38 anni, atterra con un picchetto d’onore all’aeroporto di Bangkok. Un monaco le lega intorno un filo bianco e lo condivide coi familiari. Hooyah, hooyah, hooyah. C’è tutta la Thailandia a tenere stretta quella cordicella e a inchinarsi davanti a un giovane eroe. Una sottile sagola bianca per uscire dall’oscurità delle tenebre. E magari dal buio d’una grotta.