A incoraggiarlo fu Jonathan Swift, autore dei Viaggi di Gulliver, il quale gli suggerì di concepire una sfrenata “pastorale per ladri e puttane”. E il risultato fu un trionfo. Sulla base di questo leggendario titolo settecentesco, Carsen crea uno spettacolo dove la musica barocca — eseguita dal gruppo delle Arts Florissants di William Christie — viene lanciata nel tourbillon della Londra odierna, con l’esito di un “pastiche” d’ambientazione misera e trasgressiva condito da arnesi tecnologici e da cellulari.
Intanto i dialoghi modernizzati evocano i guasti di Brexit e tracciano caricature di Theresa May. «Ogni satira deve colpire il proprio presente», sostiene Carsen. «Perciò, accanto al drammaturgo Ian Burton, hoadattato i testi al linguaggio e alle situazioni del ventunesimo secolo. Va mantenuto il piglio acido e coinvolgente di questo play con canzoni: all’epoca fu una rivoluzione».
Rispetto a cosa?
«Rispetto a opere dominate da principi, maghi e re, lontane dal popolo inglese. Il tutto si affidava alle voci dei castrati, a libretti in italiano, a fontane zampillanti e ad altre mirabilie. Qui invece le figure sono piccoli criminali e spavalde prostitute. Gli spettatori che si riconoscevano nelle loro povertà e disillusioni accolsero L’Opera del Mendicante come una festa: fu replicata per una settantina di volte e trasformò il paesaggio culturale».
Il suo influsso si prolungò nei secoli con diverse riletture.
«Ci sono stati l’adattamento di Brecht-Weill intitolato L’opera da tre soldi, una versione di Benjamin Britten e alcuni film, tra cui uno di Peter Brook con Laurence Olivier».
Com’è la musica di “The Beggar’s Opera”?
«Vi contribuì Johann Christoph Pepusch che scrisse l’Ouverture.
Di fatto assembla numerosi Song preesistenti: melodie popolari e folk inglese, irlandese e scozzese. Ci sono anche citazioni di Händel e Purcell. Nel mio spettacolo i musicisti suonano in scena con strumenti originali. Non c’è una vera partitura: ogni numero consente un margine d’improvvisazione. È jazz del Settecento. Formano la compagnia interpreti dei musical del West End: performer che non hanno la voce impostata della lirica. Recitano, cantano e ballano».
È una parabola morale?
«Piuttosto è il manifesto realistico di uno spudorato capovolgimento dei principi etici: nessuno si fida di nessuno, si pensa solo al proprio tornaconto, vige l’avidità capitalista e i dislivelli sociali sono obbligati. Le ragazze vendono il proprio corpo, i protettori le sfruttano, i pusher realizzano i loro business e l’aitante protagonista Macheath è un bandito molto desiderato dalle femmine. Lui se le porta a letto tutte, senza mai coinvolgersi. Politici e funzionari sono marci e per andare avanti tocca essere conniventi. Suona familiare? Lo stato delle cose non mi pare cambiato granché».
Sarà la sua prima volta a Spoleto?
«No! Il festival fu il mio ingresso nel teatro professionale. Da Toronto andai in Inghilterra giovanissimo per imparare a recitare. Volevo fare l’attore e scelsi di studiare a Bristol. Lì un insegnante mi disse che avevo talento per la regia e il primo lavoro che mi capitò fu come assistente a Spoleto: lavorai con registi quali Filippo Sanjust e Giorgio De Lullo e fu un battesimo d’oro».
Il 29 giugno arriverà alla Fenice di Venezia il “Riccardo III” di Giorgio Battistelli, basato su Shakespeare, di cui lei ha firmato la regia.
«È andato in scena in vari teatri europei e sono felice che approdi nel Paese del suo autore. Ritrae un uomo deforme e assetato di potere al punto da annientare la sua famiglia. Battistelli ne fa un istrionico seduttore che ammalia le sue vittime e gli spettatori grazie a un carisma diabolico.
Musicalmente dialoga con ogni personaggio e con l’orchestra dimostrando una folle personalità multipla».
Lei, Carsen, pare attivissimo e scatenato: le sue messinscene sono ovunque.
«Faccio tre produzioni all’anno, non di più. Gli ultimi lavori sono stati Wozzeck a Vienna, The Tempest alla Comédie Française e The Beggar’s Opera, che ha debuttato al Théâtre des Bouffes du Nord di Parigi e che, dopo Spoleto, prevede un tour con tappa a Edimburgo. Sembro onnipresente perché i miei spettacoli viaggiano tanto e a me piace curare personalmente le riprese».