Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  giugno 14 Giovedì calendario

Accusato di mafia solo per una foto, la strana inchiesta sul “Mattino”

ROMA Ha fatto uno scoop. La cronista giudiziaria del Mattino di Padova, ora, è indagata per aver favorito la mafia. È una storia di quasi cinque anni fa, 27 settembre 2013. Con i carabinieri del nucleo radiomobile che si appostano dall’altra parte di Piazzetta Buonarroti e inquadrano i clienti di un noto bar. Seduto sul dehor c’è il figlio di Toto Riina, Giuseppe Salvatore detto Salvuccio, sorvegliato speciale al Nord dopo otto anni e dieci mesi trascorsi in galera. Riina junior è in compagnia di due pregiudicati per mafia. Dovrebbe essere a casa a quell’ora, dicono le restrizioni: sta reiterando un reato. I carabinieri in borghese scattano foto: viene aperto un fascicolo, trasmesso presto alla Direzione antimafia di Venezia.
Per quattro anni la procura di Venezia e i carabinieri di Padova indagheranno in silenzio: Salvuccio, si scopre, organizza in salotto festini con la cocaina, preleva escort in aeroporto con l’auto a disposizione (cosa vietata). E mantiene rapporti a distanza con i mafiosi di Corleone. La cronista giudiziaria del Mattino di Padova, Cristina Genesin, all’inizio del febbraio 2017 scopre la storia e l’appostamento, ottiene uno scatto. Il 3 febbraio 2017, e poi ancora il 4, il giornale pubblica l’evidente notizia: “Gli incontri proibiti di Salvuccio a Padova”, titola il primo giorno. La città è sbigottita, la Lega e il Pd si sollevano: «Salvuccio Riina continua a ricevere permessi per muoversi nel Paese». La Dda viene chiamata in causa dall’Osservatorio delle mafie in Veneto: «Nessuno fa niente?».
Sedici mesi dopo, cioè martedì scorso, il giornale viene perquisito. Dalla prima mattina alle sette di sera, otto finanzieri del Gico. All’autrice del colpo giornalistico, privata a casa di due smartphone e in redazione delcomputer e diverse carte, viene notificata una contestazione pesante: “Violazione del segreto istruttorio con l’aggravante dell’aver commesso il fatto al fine di agevolare l’attività di soggetti appartenenti all’associazione di tipo mafioso”. Avrebbe, sostiene la procura di Venezia autrice del decreto di perquisizione, rovinato un’indagine lunga quattro anni: «Consentiva a Riina di apprendere che a suo carico erano state svolte indagini inducendolo a modificare i suoi comportamenti». Si apre, da martedì, la caccia alla fonte della cronista. Per omesso controllo il pm Fabrizio Celenza indaga anche il direttore del Mattino di Padova, Paolo Possamai, e il condirettore Paolo Cagnan.
In redazione si preferisce il silenzio, ma si teme l’escalation dei controlli di procura. Pochi mesi prima un cronista di nera è stato intercettato per un servizio su una violenza sessuale: cercavano i suoi informatori. Nel 2015, si ricorda, la procura di Trieste mise sotto inchiesta il capo della squadra mobile locale, due ufficiali dei carabinieri e un giornalista. Gli investigatori furono sospesi dal servizio, l’inchiesta venne archiviata.
«Un episodio grave, di intimidazione e limitazione della libertà a una cronista che nient’altro ha fatto se non il proprio lavoro», scrive il Comitato di redazione dei giornali veneti. A ruota la Federazione nazionale della stampa, il sindacato e l’Ordine dei giornalisti del Veneto: «Il reato contestato è a dir poco sconcertante». Salvuccio Riina, nel frattempo, è stato trasferito in una casa- lavoro a Vasto, Abruzzo. «Non aveva assolutamente mutato indole e comportamento».