Corriere della Sera, 14 giugno 2018
Giurano i 45 vice e sottosegretari. Con Savona un ultrà anti Europa
Disciplina, onore e anche un po’ di cuore, «per non tradire le speranze». Questo chiede il premier Giuseppe Conte ai 45 sottosegretari e viceministri che han giurato a Palazzo Chigi, ma il flash delle foto e delle lacrime lascia presto spazio a polemiche e sospetti. Carlo Sibilia all’Interno: ma non è il grillino che propose la legalizzazione delle nozze tra specie diverse, «purché consenzienti»? Non è il complottista No vax che negò l’allunaggio dell’Apollo 11 («Una farsa») e marciò contro il Gruppo Bilderberg?
Di nome in nome, la spartizione delle poltrone di seconda e terza fila rivela tensioni e contraddizioni dell’alleanza gialloverde. E porta alla luce l’anima più autentica del governo Conte-Di Maio-Salvini, che guarda alla Russia di Putin e medita di rivedere i Trattati europei. Dietro la foto di famiglia ci sono storie che rischiano di generare nuovi incubi, sui mercati e al vertice della Ue. Luciano Barra Caracciolo, per dire un nome. Il sottosegretario che dovrà preparare i vertici europei per Paolo Savona è, se possibile, meno europeista del suo ministro. Giurista e magistrato romano, teorizza la «convivenza impossibile» tra Costituzione e Trattati europei. In un articolo su Scenari economici postò l’immagine di una bandiera Ue che nasconde una bandiera del Terzo Reich e su Twitter gira ancora un suo cinguettio anti-renziano che riecheggiava gli orrori di Auschwitz: «Bisogna fare le riforme diverrà una frase come “il lavoro rende liberi” quando sarà il momento della nuova Norimberga».
E che dire di Manlio Di Stefano? A forza di corteggiare Putin, celebrare Chàvez e spingere perché l’Italia riveda i suoi rapporti con la Nato, alla Farnesina ci è arrivato, ma «solo» da sottosegretario. Storica, per così dire, la gaffe sul Restitution Day, «l’evento più rivoluzionario dagli omicidi di Falcone e Borsellino». Rettifica obbligata e post cancellato dall’autore.
Sei donne appena e un esercito di uomini, uno dei quali (per la prima volta) avrà le deleghe alle Pari opportunità. È il pentastellato Vincenzo Spadafora, il mancato ministro che Luigi Di Maio ha «infiltrato» a Palazzo Chigi per contenere lo strapotere del sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti. E c’è anche Massimo Bitonci, il leghista che da capogruppo del Carroccio al Senato assestò una sberla linguistica alla ministra dem Cecile Kyenge: «Vuole favorire la negritudine, come in Francia». Le gaffe dei nuovi arrivati al governo rimbalzano da un sito web all’altro. Il siciliano Maurizio Santangelo, approdato ai Rapporti col Parlamento: «Con un po’ d’impegno l’Etna risolverebbe tanti problemi dell’Italia». Davide Crippa: «Perché devo stare in aula a votare, che ho il torneo di waterpolo?». E ancora Di Stefano: «Il terrorismo islamico non esiste».
Intanto alla Camera i deputati hanno risolto il problema del posto di vicepresidente lasciato libero dal leghista Lorenzo Fontana, neoministro della Famiglia. Tra le urla dei democratici l’ha spuntata Fabio Rampelli (FdI), la cui elezione stringe ancor più i bulloni dell’asse tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Forza Italia ci ha messo i suoi voti, ma adesso Silvio Berlusconi teme l’isolamento e comincia a sospettare che il leader leghista non intenda rispettare i patti. E se anche la presidenza del Copasir andasse a FdI, con Edmondo Cirielli? Per il Pd sarebbe «un fatto gravissimo, uno strappo inaudito». Contro il quale Maurizio Martina e compagni – che a quel punto finirebbero a litigarsi con gli azzurri la presidenza della Vigilanza Rai – sono pronti a disertare la bicamerale sulla sicurezza.