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 2018  giugno 14 Giovedì calendario

Come sarà questo mondiale

Come sarà questo Mondiale che ci ha respinto con perdite cominceremo a scoprirlo nel pomeriggio con Russia-Arabia Saudita. L’altra volta che accadde, tre generazioni fa, partì da uno Svezia-Messico 3-0, due gol di Simonsson e un rigore di Liedholm. E finì con il primo trionfo del Brasile, la scoperta di un fenomeno chiamato Pelè, e i 13 gol di Just Fontaine che nessuno segnerà mai più. La storia insomma andò avanti anche senza di noi, e che storia, nonostante quelle poche immagini in bianco e nero che arrivarono di lassù. Figurarsi oggi, a colori e in chiaro dalla prima all’ultima azione.
Anche stavolta potrebbe vincerlo il Brasile. Perché il loro calcio, a differenza del nostro, ha una straordinaria capacità di rigenerazione. Quattro anni fa, dopo il terrificante 1-7 in semifinale – e in casa – dalla Germania, un po’ tutti ci chiedemmo quanto tempo sarebbe servito ai brasiliani per tornare se non altro all’onor del mondo. La risposta, stupefacente se si ripensa alle macerie di Belo Horizonte, è che il Brasile è già tornato e anche questo Mondiale numero 21 se lo può giocare se non da favorito, quasi. Ne ha vinti 5, negli ultimi sessant’anni, ma è all’asciutto dal 2002: i due dell’Uruguay e gli altri due dell’Argentina fanno 9 per il calcio del Sudamerica, contro gli 11 dell’Europa: 4 della Germania, altrettanti di un’altra di cui mi sfugge il nome, uno ciascuno per Inghilterra, Francia e Spagna. Nemmeno stavolta si dovrebbe uscire da qui, anche se Portogallo e Belgio, per esempio, non parrebbero così d’accordo.
Se parliamo di potenzialità in prima fila c’era la Spagna, prima che Lopetegui e Florentino Perez si facessero riconoscere per i galantuomini che sono: anche la Francia pur con i suoi problemi dalla cintola in giù, a cominciare dal portiere. Ma nemmeno i tedeschi sembrano al meglio, così come gli argentini che hanno perso negli ultimi giorni due pedine preziose e hanno comunque il girone più insidioso. Sceglieremo strada facendo per chi palpitare, magari anche tifare: sapendo per esperienza che le Croazie, le Colombie, i Senegal sono sogni di mezza estate, che ti fanno compagnia per un po’. Ci sforzeremo anche di dar retta a Sacchi, che invita a premiare con il nostro tifo le idee e il gioco, il collettivo e non il singolo: facendo finta di dimenticare come giocò la sua Italia in America e come solo i colpi di Baggio riuscirono a portarla a undici metri dal titolo, prima di sbattere in curva quel maledetto rigore. Poi per carità, è giusto apprezzare il raddoppio di Kantè e la diagonale di Ramos: ma in linea di massima le molle del divano scricchiolano quando Messi parte palla al piede, o Ronaldo carica il destro e a volte anche il sinistro.
Il calcio insomma è bello perché è vario, anche nella fruizione. E in questo mese troveremo il modo di saziarci tutti quanti, esteti e profeti. Sempre che Telstar ’18, il nuovo pallone varato per l’occasione, non sia la schifezza che l’Adidas inflisse otto anni fa in Sudafrica sotto il nome di Jabulani a tutti gli attori protagonisti, a cominciare dai portieri. E sempre che la Var, la vera, grande new-entry del Mondiale, si riveli un valore aggiunto, e non una complicanza. Il trofeo in palio è rimasto quello creato nel ’70 da Silvio Gazzaniga, una volta assegnata al Brasile per la terza e ultima volta la coppa Rimet: a proposito di made in Italy e di ferite collaterali.
Che altro? La splendida locandina ufficiale dove non c’è la foto di Putin. C’è quella di Yashin, in plastico volo, ed è la prima volta nella storia che il logo di una Coppa del Mondo è dedicata ad un antico campione. Roba da mettersi a tifare per la Russia, non fosse per la compagnia che non è un granché.