Il calcio è materia internazionale?
«In tutti i paesi dove sono stato ho visto che piace allo stesso modo. Ho conosciuto tutte queste culture a partire dal loro rapporto con il calcio. In Giappone lo si vive con molta educazione. In Inghilterra mi hanno sorpreso i tanti tifosi che tengono solo al loro club e non anche a uno più importante.
Scoprire questi aspetti è stato molto interessante».
Il calcio l’ha resa felice?
«Il 99% di quel che il calcio mi ha dato è gioia, solo l’1% è stata tristezza».
Ha già dimenticato la sconfitta in semifinale del Brasile per 1-7 contro la Germania nella scorsa Coppa del Mondo?
«Così come non si dimenticano le vittorie, non si dimenticano le sconfitte. Quello che si deve fare è trarre dalle sconfitte una impalcatura per costruire una nuova fase della propria vita. Chi non ha mai perso non vincerà mai.
La gente lo sa. Quello è stato un risultato insolito, diverso, che però mi ha dato la possibilità di provare a superare me stesso e trovare altri modi per raggiungere obiettivi mai considerati prima. Così sono partito per la Cina con il mio staff e con il Guangzhou Evergrande abbiamo vinto sette titoli su undici».
E i giocatori l’hanno dimenticato?
«Il giocatore pensa meno a queste cose rispetto all’allenatore. Noi allenatori osserviamo tutta la struttura, i calciatori invece si concentrano su se stessi».
Come vede la squadra brasiliana alla Coppa del Mondo?
«È una chiara candidata alla vittoria e sono contento che giochi in quel modo. Il Brasile di Tite è una squadra molto ben organizzata.
Sono riusciti a ristrutturarla ricompattandosi. Giocano un calcio efficiente».
Tite è una sua vecchia conoscenza…
«Lo conobbi quando ero insegnante di educazione fisica, giocatore di calcio e allenatore della squadra della scuola. Lui giocava nella squadra avversaria. Giocavano molto bene – le nostre squadre s’incontrarono due volte. Dopo aver superato i test e le prove necessarie diventò allenatore della squadra in cui aveva giocato, e fece molto bene. Non è vero che il soprannome glielo abbia dato io».
Pensa che Neymar torni al Mondiale ben rimesso in sesto?
«Potrebbe avere qualche problema all’inizio, perché potrebbe risentire dell’infortunio e di una mancanza di ritmo nel gioco per aver saltato tante partite. Ma se ci va, significa che è guarito e sarà un giocatore speciale. Non è vero che sia andato in Brasile a riprendersi senza il consenso del Psg. I medici devono essere in sintonia quando si pianifica un recupero».
Lei che ha allenato Ronaldo, vede qualcuno che gli assomigli?
«Ronaldo era un fenomeno, era letale quando giocava dentro l’area. Anche dopo gli infortuni è riuscito a diventare capocannoniere in un Mondiale. Non ci sono giocatori come lui, ma qualcuno gli assomiglia. Cristiano fa due gol ogni tre occasioni. Gabriel Jesus è un altro tipo di giocatore, ma riuscirà a fare cose di quel tipo. Ibrahimovic trasmette la sua stessa sensazione di potenza».
È l’era di Messi, Cristiano e Neymar.
«Sono giocatori diversi rispetto al Fenomeno. Messi è genialità, Cristiano è lavoro puro, Neymar è un po’ di entrambe le cose».
Lei fece debuttare Cristiano a 18 anni con il Portogallo. È sorpreso dalla sua evoluzione?
«No, andrà avanti così fino alla fine della carriera. È dedizione pura e autentica. Non accetta di dare meno del 100%. È il migliore esempio per chi voglia vincere nella vita. Sono un seguace del Portogallo, mi hanno accolto bene.
La mia famiglia vive lì e quando hanno vinto gli Europei in Francia mi sono sentito ricompensato della mia sconfitta del 2004».
Perché la Cina ha partecipato a un solo Mondiale nella storia?
«Hanno bisogno di un campionato Under 17, Under 18, Under 19 e Under 20 che permetta ai giocatori di formarsi a livello nazionale.
Hanno modificato alcune leggi che ora il calcio cinese sta adottando.
Penso che tra otto anni sarà allo stesso livello del Giappone e della Corea, i suoi grandi rivali asiatici. La Cina ha fatto delle scelte giuste e sono certo che dal 2018 inizierà una nuova fase».
© El País.