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 2018  giugno 13 Mercoledì calendario

Gli amori di Ciajkovskij restano tabù

Per oltre un secolo la Casa-museo di Piotr Iljich Ciajkovskij a Klin, la cittadina a nordovest di Mosca dove il grande compositore morì all’età di 53 anni nel 1893, ha custodito il suo epistolario lontano dagli occhi indiscreti di ricercatori e studiosi. Le lettere d’amore rivelavano una verità da tempo nota in Occidente, ma che l’Unione Sovietica prima, e la Russia oggi, si sono sempre ostinate a non voler riconoscere: Ciajkovskij era gay. Le autorità hanno fatto di tutto perché le epistole che parlavano ora di un «giovane dalla bellezza stupefacente», ora del pupillo «amato più di ogni altro», restassero in un cantuccio. Finché nel 2009 non è stata autorizzata la diffusione di un’edizione russa dei documenti d’archivio, ma censurata.
«Mio Dio, che angelica creatura e come desidero essere il suo schiavo, il suo giocattolo, la sua proprietà», scriveva Ciajkovskij parlando del domestico in un passaggio rimosso. In un’altra epistola purgata, il compositore descriveva invece il suo «tormento dell’indecisione»: «Il mio incontro era fissato per stasera. Un dilemma agrodolce. Ho deciso infine di andare. Ho trascorso due ore fantastiche: ero spaventato, ero emozionato».Oggi le angosce segrete di Ciajkovskij sono state disseppellite dal volume in inglese The Ciajkovskij Papers: unlocking the family archive curato da Marina Kostalevskij. Parole appassionate, spesso intrise di tragedia, edite per la prima volta, rivelano anche nei più crudi dettagli gli amori omosessuali del musicista. Gioie e disperazioni che l’ascoltatore attento ritrova anche nel lirismo appassionato e cupo delle sue composizioni: Romeo e Giulietta, dedicata quasi profeticamente al suo amato Eduard Zak che pochi anni dopo si tolse la vita; Evgenij Onegin, ispirata al disincantato personaggio pushkiniano che respinge l’amore; Il lago dei cigni, altra storia di amore negato, andata in scena a poche settimane dalle nozze con Antonina Miljukova. Un matrimonio di facciata per “curare” la sua omosessualità o, perlomeno, la sua immagine pubblica che finì appena tre mesi dopo.
Infine la sinfonia Patetica. Un testamento spirituale. Quasi un Requiem. Ciajkovskij morì nove giorni dopo la prima. Di colera, si disse. Ma c’è chi sostiene che si suicidò. Per i sensi di colpa o perché glielo impose un “tribunale dell’onore” come estrema riparazione alle sue incestuose attenzioni nei confronti di un nipote. Una verità che un secolo dopo in Russia resta tabù.