Il Messaggero, 13 giugno 2018
Penicillina, novant’anni di trionfi contro le infezioni
Novanta anni fa. Estate 1928. Si racconta che sia stato il caso. Ma, a distanza di quasi un secolo, la storia può essere letta anche in un altro modo. Possiamo dire che, ala ricerca batterica già iniziata nel 1922, dette una mano il caso. Studi e sperimentazioni per arrivare a mettere a punto la penicillina erano iniziati da tempo. Da quando, nei laboratori di americani ed europei, si era diffusa la convinzione che agenti micotici potessero aiutare l’uomo a proteggersi da germi patogeni.
LE FERIE
Doveva arrivare la stagione calda del’28 per essere certi che la svolta c’era stata. Londra, laboratorio St.Martin. Il microbiologo Alexander Fleming, titolare della cattedra di Batteriologia stava lavorando sull’agente dell’influenza (solo più tardi si scoprì che si trattava di un virus e non di un batterio) quando prese una pausa e andò per qualche giorno fuori città. Forse uscì di corsa, forse la Storia doveva andare proprio così, fatto sta che si dimenticò di distruggere alcune colture di Staphilococcus aureus.
Quando tornò, i primi di settembre, si rese conto che quelle colture presentavano un alone chiaro assai strano. In quella zona, vicino a colonie fungine contaminanti, le colonie dello Staphilococcus aureus non erano cresciute. «That’s funny...» («Come è buffo..») avrebbe detto lo scienziato. Altre letture ricostruiscono il fatto in un altro modo: su un ananas andato a male sarebbe cresciuta una muffa. Studiata perché, in un’altra parte dell’ospedale, si lavorava proprio su muffe prelevate dalle abitazioni dei pazienti con l’asma.
LA CONTAMINAZIONE
Il fenomeno non fu subito riprodotto (condizione essenziale perché si parli di successo nella ricerca scientifica) da Fleming ma, passo dopo passo, si arrivò alla sostanza salvavita. «Se non fosse stato per la mia precedente esperienza – fu il commento di Alexander Fleming – avrei buttato via la piastra perché contaminata. Come molti batteriologi devono aver fatto prima di me».
Tempo più o meno dieci anni e le malattie come le broncopolmoniti o le infezioni postoperatorie cominciarono ad essere vinte dalla penicillina. Nei paesi più poveri come in quelli più ricchi. Proprio a ridosso della seconda guerra portatrice, oltre che di morte sul fronte, anche di decessi improvvisi nelle case e negli ospedali. Avremmo davvero avuto generazioni falcidiate. Uomini morti in guerra e sui campi, donne giovani fermate dalla morte ancora prima di mettere al mondo un figlio. Un crollo demografico e un mondo piegato dai diversi batteri.
«Possiamo dire che si tratta della prima molecola che ha cambiato il mondo – commenta Giuseppe Ippolito Direttore scientifico dell’Istituto di ricerca e cura per le malattie infettive Spallanzani di Roma -. Di allora abbiamo a disposizione dei dati americani molto significativi. Prima della guerra i morti di polmonite rappresentavano il venti per cento dei decessi per malattia, dopo il conflitto erano scesi, grazie all’uso della penicillina, all’1 per cento. Fleming all’inizio, come è capitato a molti scienziati, era visto con grande scetticismo dai suoi colleghi. Ma epocale è stata la sua prima somministrazione».
Che cosa sarebbe successo se la penicillina non fosse stata scoperta? Intere generazioni, più o meno giovani, sarebbero state falcidiate dalle infezioni. Si pensi solo alla sifilide, alla gonorrea, alla setticemia. «Anche le morti per influenza cominciarono a calare – aggiunge Ippolito – tutte quelle che erano aggravate da infezioni batteriche. L’effetto del farmaco fu immediatamente riscontrabile. Purtroppo, allora, il costo era proibitivo. Negli Stati Uniti, per esempio, veniva venduto al mercato nero».
ARABIA SAUDITA
È di qualche anno fa un lavoro, tra la ricerca e la fantascienza, che ipotizza il mondo senza la scoperta di Fleming firmato da un gruppo della King Saud University a Riyad in Arabia Saudita. L’ipotesi più accreditata: se la molecola non fosse stata individuata con ogni probabilità non sarebbe mai nata neppure l’epoca degli antibiotici. «Un effetto – scrivono i ricercatori – sarebbe stato quello che nessun chirurgo avrebbe azzardato un trapianto. Ci saremmo dovuti appoggiare solo ai sulfamicidi non indicati per una serie di patologie. Un nuovo vero millennio deve ancora arrivare. Stiamo, in realtà, ancora aspettando un farmaco che riesca davvero a superare le potenzialità della penicillina».