La Stampa, 12 giugno 2018
Un Mondiale da record
Le contraddizioni sono quelle di sempre, amplificate da un territorio sterminato: muri scrostati e umanità dolenti restano fuori dai circuiti del Mondiale. Il volto che presenta la Russia è però, obiettivamente, bellissimo, e ad appena due giorni dal via s’allunga giusto un filo di agitazione, inevitabile quando per la prima volta riunisci l’élite del calcio e ti ritrovi gli occhi del mondo addosso.
Sette anni di cantieri
Sette anni di sacrifici, investimenti e cantieri hanno migliorato le città coinvolte, non solo le undici dove si giocheranno le partite, ma anche le venti che ospiteranno le squadre, e oggi il Paese è pronto per sollevare il sipario, con le sue stazioni e i suoi aeroporti modernizzati, con duecento chilometri di nuove strade, con treni fiammanti a disposizione gratuita dei tifosi, con ventimila volontari e un’infinità di strutture concepite per non morire quando il circo andrà via.
Regole opposte
C’è tempo, stanno appena montando il tendone, ogni giorno una stella aspettando lo spettacolo: erano già arrivati Cristiano Ronaldo, con la sua personale guardia del corpo, e Leo Messi; ieri è sbarcato Neymar, campione ritrovato dopo l’infortunio che aveva messo a repentaglio il Mondiale, simbolo d’un Brasile che sogna di rafforzare il record di titoli vinti: con gli azzurri a casa, immersi nel rimpianto, costretti a inventare il batticuore per un’altra Nazionale, solo la Germania può affiancarla a cinque, la speranza verdeoro è volare a sei. Le due Nazionali hanno scelto ritiri diversi, abbracciato regole opposte: i tedeschi lavorano ai bordi di Mosca, senza il sorriso di compagne e bambini, i brasiliani sulla spiaggia di Sochi, con le famiglie in un’altra ala del resort. Non ci sono ancora tutte, le squadre protagoniste: la processione aperta dall’Iran si concluderà solo domani quando arriveranno Belgio e Polonia.
Biglietti rastrellati
I centri d’allenamento, però, sono già animati, le città colorate, l’attesa spasmodica. Restano pochi biglietti e le avanguardie di chi ama il calcio e vive il tifo sono già qui, sciamano tra la capitale e San Pietroburgo, Kazan e Sochi, Kalinigrad e Saransk. Sciarpe, maglie, mascotte, allegria: il lato più tenero benché la guardia sia alta, le misure di sicurezza imponenti. Si nota dai presidi, l’atmosfera è festosa. I supporter di tutto il mondo riversano altre culture ed etnie in una terra che ha già mille volti, un crogiuolo di tradizioni e storie che trascina problemi inevitabili, però è vissuto come una ricchezza, un orgoglio. Partecipano anche i russi, entusiasti oltre le attese: nonostante i costi, hanno rastrellato quasi metà dei ticket, pronti a tifare per la squadra di casa, in bilico tra il sogno di far strada e il timore di arenarsi subito, ma anche a prendere a prestito altre squadre e altri campioni, tifare per il bel calcio, per i personaggi che accendono la fantasia. Messi e Ronaldo, i grandissimi, a caccia del primo Mondiale, Neymar che vuole avvicinarli ancora di più nella scala dei fenomeni, attorno un drappello di assi a caccia di consacrazione, di giovani a caccia di futuro, di Paesi che vogliono allungare leggende o ribellarsi al ruolo di comparse, di arbitri per la prima volta confortati dalla Var.
Un jackpot mai visto
È un Mondiale triste solo per noi italiani, in realtà pieno di vita, fuoriclasse, curiosità, pagine di romanzo. Ed è anche un Mondiale ricchissimo. Per i 9 miliardi che la Russia ha investito e per i 686 milioni che costituiscono il montepremi, il più alto di sempre: quasi 34 andranno alla Nazionale vincente, quelle che non passeranno il girone si consoleranno con 8.