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 2018  giugno 12 Martedì calendario

Zucchero contro l’estate: “Suono a Venezia e a Londra per vincere la depressione della stagione più effimera”

In una delle cabine della Msc Seaview, dove questo weekend per la prima volta si è esibito su una nave, facendo ballare tutto il porto di Genova, Adelmo Fornaciari, in arte Zucchero, 62 anni, racconta la sua estate: «Non sarà al mare come in certe canzoni, anche quest’anno ho trovato il modo di levarmi dai c... per saltare questa stagione effimera che mi deprime».

Riparte per un tour internazionale con due date, 3 e 4 luglio, in piazza San Marco a Venezia. Non è un posto delicato per un concerto?
«Un museo a cielo a aperto. Non è stato facile vincere burocrazia e soprintendenza, ho dovuto dare mille garanzie, ma alla fine realizzo un sogno che coltivo da tempo. Qualunque artista, qualsiasi tipo di musica faccia, aspira a esibirsi in cornici come quella o l’Arena di Verona o il Teatro di Taormina, un valore aggiunto allo spettacolo».
Com’è nata l’operazione?
«Eric Clapton mi ha invitato con Carlos Santana l’8 luglio al British Summer Time a Hyde Park a Londra. Per competere con questi giganti bisogna provare a lungo e per un concerto solo sarebbe uno spreco, per cui nonostante con la mia band di 13 persone venissimo da un giro mondiale, li ho riuniti e partiamo di nuovo, così risolviamo l’estate. Il tour si chiama Eventi e Festival e dopo il 30 giugno a Montreux in Svizzera e il 1° luglio a St. Polten arrivo a Venezia, poi Edimburgo, Glasgow, Olanda, Croazia, Francia, Bulgaria, Germania».
Come è diventato così internazionale?
«Non è stato pianificato da nessun manager o casa discografica. Per me era già un punto d’arrivo fare un disco. È la musica che mi ha aiutato. Succede anche a me di andare all’estero e di informarmi su chi sia di tendenza. Nell’87 in Italia ero il nuovo e Eric Clapton e Miles Davis mi scoprirono. Il mio blues rock mi ha fatto notare».
Una volta ha detto che anche la lingua italiana l’ha aiutata.
«Davis mi disse: fottitene se non capiscono, la musica parla e l’italiano ha un suono bellissimo».
Lei aggiunge anche parole in inglese.
«In slang e che si capiscano in entrambe le lingue, come “Un’overdose d’amore”, e se dico “I’ve got the devil in me” lo sanno tutti che c’è un diavolo in me».
Il più grande con chi ha collaborato?
«Divido sempre tra persona e musica, ma Eric Clapton le unisce entrambe. È la chimica che funziona. Se dopo il concerto non mi trovo bene a cena finisce subito. I miei miti personali sono Jeff Beck, Miles Davis, Ray Charles, B.B. King e Luciano Pavarotti».
Lei, Vasco Rossi, Luciano Ligabue... c’è un’Emilia musicale?
«L’arte viene dalla generosità e lì cresce nei campi. Io ne sono stato sradicato a 12 anni e penso che se ci vivessi tutti i giorni non vi ritroverei i valori della mia infanzia».
È il tema della canzone «Ci si arrende», dedicata a Marzia, suo primo amore di campagna?
«Sì, l’Emilia resta il luogo dei sogni e delle speranze della mia infanzia, anche se oggi ci saranno come ovunque ignoranza, superficialità e voglia di fare il vip a tutti i costi».
È vero che medita un concerto a Reggio Emilia, come Vasco a Modena?
«Un concerto per la gente, senza la presunzione di riempire un parco. Con Vasco siamo amici, è più manager di quanto sembri, ha sempre investito sui concerti più che sui dischi. Per me è stata sempre più importante la musica. Siamo diversi. Vasco fa il suo, Ligabue pure, e io il mio. Vorrei fare anche qualche canzone in dialetto reggiano».
Lei dove vive?
«A Pontremoli, in Lunigiana, su una collina vicino al mare dove sento già l’aria dell’Emilia: ecco perché ho deciso di stare lì».
«Partigiano reggiano», che apre l’ultimo disco, è una canzone politica?
«Dicono che i partigiani abbiano le loro colpe, ma sono nato in una famiglia in cui erano considerati eroi. Onoro quelle figure e le ricordo in modo scherzoso. Non è una canzone leggera come potrebbe sembrare: parla di libertà e di un cuore unico, che manca da un bel po’».
In passato dichiarò di non votare. E ora?
«Io non voto, non c’è nessuno che mi ispiri, ma seguo molto e dico anche la mia».
E il nuovo governo la ispira?
«Una volta avevo paura dei cambiamenti, ora invece li trovo stimolanti. Perché rimanere bloccati nei soliti discorsi e nelle facce di sempre?».
Lei ha sempre amato molto gli animali, ma non trova che oggi si esageri un po’?
«Sono nato in una famiglia contadina, dove c’è sempre stato amore per loro, ma quando sento un mio amico senza figli dire che quando è morta la cagnolina le ha fatto la tomba e ora la va sempre a trovare... mi pare fuori dal mondo».
Continua la sua collezione di cappelli?
«Ne ho 400. Li compro ai mercatini delle pulci di tutto il mondo. Mi piacciono quelli classici, le lobbie che mi ricordano mio nonno detto Cannella».
Lui Cannella, lei Zucchero.
«Perché era alto e magro, non per la spezia. Io sono stato ribattezzato per sempre così da bambino, per la battuta di una maestra elementare».
Tornando agli animali, nelle sue canzoni ne torna uno: è lei il «funky gallo»?
«È un simbolo che evoca il seduttore, il galletto. Ho scoperto poi girando gli Stati Uniti del sud che è un animale molto amato anche là. All’inizio della mia carriera scrissi la canzone Un gallo, che non uscì mai. Il gallo è sempre intorno alle galline, corre, seduce, tromba, ha dei colori vivaci ed è il simbolo dei francesi».
E «Per colpa di chi»?
«Eh, ne dovrei elencare troppi… Per la canzone, il titolo nacque a New Orleans in cerca di un inciso: e chichichirichi!».