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Una sera del 1962 in un ristorante del quartiere latino. Di fronte a Simone de Beauvoir siede una studentessa che realizza il sogno di conoscere la più famosa intellettuale francese. “ Era molto timida, si torceva nervosamente le dita, era strabica e rispondeva alle mie domande con voce soffocata” ricorda Beauvoir in Tout compte fait, libro dedicato a quella ragazza di trentatré anni più giovane. Da quel primo incontro non si sono più lasciate. Sylvie Le Bon è entrata a far parte della coppia tra Beauvoir e Sartre. «Amavo i suoi entusiasmi e le sue collere», racconta la scrittrice, «la sua seriosità, la sua gioia, il suo orrore della mediocrità, la sua generosità senza prudenza». Dopo la scomparsa del filosofo, Le Bon è rimasta con Beauvoir, inconsolabile fino alla morte. L’intellettuale, che non ha mai voluto avere figli, ha deciso di adottarla in modo da lasciarle in eredità i diritti della sua opera. Sylvie Le Bon de Beauvoir, settantasette anni, non ha perso la timidezza ma si muove con piglio nei corridoi di Gallimard. Se Beauvoir è finalmente entrata nella Pléiade è anche merito suo. « Lo volevo da tempo ». Chignon e camicetta, risalta un’impressionante somiglianza tra le due donne.
La pubblicazione di Beauvoir nella prestigiosa collana avviene quarant’anni dopo Sartre. Esiste la parità in letteratura?
«No, ma è già un progresso».
Merito di una riscoperta dell’opera di Beauvoir?
«È sempre stata un’autrice molto letta. Forse esisteva una certa reticenza negli ambienti universitari che finalmente sta scomparendo».
I due volumi della Pléiade raccolgono solo testi autobiografici. Non è una scelta riduttiva?
« Così ha deciso l’editore. Spero che seguiranno nella Pléiade anche i saggi e i romanzi. D’altra parte, è vero che la pulsione autobiografica ha avuto un ruolo centrale nella vocazione a diventare una scrittrice. Voleva salvare l’attimo, i momenti effimeri, affidandoli alla letteratura».
La sua vita era come un romanzo?
« Non direi così. Voleva soprattutto cercare di evitare le mistificazioni. Non inseguiva l’immaginazione ma la preoccupazione filosofica su alcune verità».
Attraverso questi testi riconosce la donna che ha amato o c’è qualcosa che manca?
« C’è il suo gusto per la vita, il suo coraggio nell’affrontare anche gli aspetti più tragici, crudeli della condizione umana: il passare inesorabile del tempo, l’invecchiamento, il nostro essere mortali. Affronta tutti questi temi senza proteggersi. È quasi eroica, io non ne sarei mai capace».
Non racconta molto dei suoi amori femminili. Una forma di autocensura?
«Ha sempre parlato senza reticenze. La sessualità ha contato molto nella sua vita ma questo aspetto era per lei secondario».
Davvero Sartre e Beauvoir erano una coppia spiritosa, divertente e per nulla austera come tanti credono?
«Non c’è nulla di peggio degli stereotipi. Sì, erano allegri, vivaci. Generosi, anche. Era un piacere stare con loro. Tutti quelli che li hanno frequentati dicono lo stesso».
Come definirebbe la vostra relazione?
« Come riassumere un’amicizia, un amore? Montaigne diceva del suo amico La Boétie: “Perché era lui, perché ero io...”. Avevamo affinità profonde, siamo state vicine per ventisei anni. Forse aveva ritrovato con me quel tipo di relazione che aveva avuto da giovane con Zaza, l’amica morta tragicamente a ventun’anni, assassinata dal suo ambiente borghese e cattolico».
Quando Beauvoir ha proposto di adottarla come ha reagito?
«Mi pareva strano, non avevamo assolutamente un rapporto madre-figlia. Provavo per lei un amore non filiale. Quando Sartre è morto, nel 1980, mi sono accorta dei comportamenti abusivi della sorella che tentava di allontanare le persone più care a Beauvoir. Ho capito che senza un legame ufficiale sarei rimasta disarmata. Quindi ho cambiato idea. Ho accettato l’adozione, all’epoca non c’erano altri mezzi legali».
Beauvoir avrebbe voluto scrivere un libro sulla sessualità femminile. Ci può svelare qualcosa di più del progetto?
«Mi aveva confidato di volerne parlare con estrema sincerità, sempre nell’idea di liberarci da miti, di aprire squarci di verità. Avrebbe probabilmente messo in evidenza le storie che ci raccontiamo per abbellire le situazioni o, al contrario, delle paure e inibizioni che ci impediscono di vivere. Ne aveva cominciato a scrivere ne
Il secondo sesso
ma voleva farlo in modo più personale».
A un certo punto Beauvoir ha deciso di rinunciare al sesso. Quanti anni aveva esattamente?
«Cinquant’anni all’incirca. Era una decisione legata al rapporto con il proprio corpo. Aveva deciso che non avrebbe più avuto relazioni sessuali. Ne abbiamo discusso molte volte. A me sembrava troppo presto per rinunciare. Ma era una scelta intima. Non ho mai osato insistere».
Si sentiva vecchia?
« Compiuti cinquant’anni aveva cominciato a dire a Sartre: “ Adesso siamo vecchi”. Il suo amico di gioventù, Merleau-Ponty, le aveva risposto: “Castor, sei sempre stata in anticipo sull’età”. Già a tredici anni Beauvoir aveva cominciato a pensare di essere “vecchia”. Sentiva che la giovinezza sfuggiva. Ai miei occhi era uno scandalo. Una donna ancora così raggiante, piena di vitalità… Tutti le dicevano: “ Ma insomma, Castor!».
Perché la chiamavate Castor?
«Era il suo amico René Maheu che, quando erano studenti, aveva scritto in un quaderno di filosofia Beauvoir=Beaver, che in inglese significa castoro. E Maheu aveva aggiunto la formula: “I castori si muovono in branco e hanno spirito costruttivo”. Da allora tutti l’hanno chiamata Castor, anche io. Nessuno diceva mai Simone».
Claude Lanzmann ha appena venduto le sue lettere d’amore con Beauvoir all’università di Yale. È vero che lei ha rifiutato di pubblicarle?
«Già dieci anni fa ho detto e poi scritto che ero disponibile alla pubblicazione della corrispondenza. Non so perché si è inventato una mia presunta ostilità. Fatto sta che Beauvoir voleva che i suoi testi manoscritti andassero alla Bnf (Bibliothèque Nationale de France, ndr) e invece Lanzmann ha preferito vendere le lettere a una ricca università americana».
“Il secondo sesso” è ancora letto dalle nuove generazioni. La sorprende?
« È un’opera rivoluzionaria, riassunta nella celebre frase: Non si nasce donna, lo si diventa. Ha completamente cambiato lo sguardo delle donne e verso le donne. Beauvoir spiega che la condizione femminile non è una fatalità, una decisione divina o qualcosa di naturale, ma una situazione storica, sociale, economica, che può essere trasformata».
È stata molto criticata dopo la pubblicazione?
«Nel 1949, quando è uscito Il secondo sesso, ha ricevuto critiche inaudite. È stata travolta da attacchi ignobili sia da destra che da sinistra. Gli uomini si sono sentiti nel mirino in quanto maschi e hanno reagito».
Élisabeth Badinter sostiene che Beauvoir ha aperto le porte della prigione. Ha l’impressione che le porte si stiano richiudendo?
«Beauvoir lo ricordava spesso: nessuna conquista è per sempre. Lo vediamo sulla libertà di procreazione, un diritto essenziale. Per Beauvoir la libertà inizia nella pancia. Guardate ciò che è successo in Polonia, in Spagna. In molti paesi questi diritti sono minacciati. Bisogna vigilare, continuare a battersi».
Cosa avrebbe detto del fenomeno #MeToo?
«Avrebbe approvato che lo scandalo esploda alla luce del sole e che certe cose vengano dette, esplicitate. Beauvoir aveva già scritto contro il sessismo ordinario, ad esempio sull’odio e la pubblicità».
Parlavate insieme di molestie, abusi sessuali?
« Ovviamente, è un fenomeno antico come il mondo. C’erano stati casi tra le donne che Beauvoir aveva fatto entrare nella redazione di Temps Modernes. Noi stesse ce ne rendavamo conto quando uscivamo in strada, soprattutto in Italia. A volte, rinunciavamo a fare una passeggiata».