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«House of Cards addio, adesso sfido Sua Maestà». Intervista a Michael Dobb
C’è un giorno all’anno in cui le più alte autorità del Regno Unito, la regina, l’erede al trono, il primo ministro con il governo al completo, i membri della camera dei Comuni e dei Lord, si ritrovano tutte insieme nella stessa stanza. È l’apertura dell’anno parlamentare, quando la sovrana arriva in carrozza al palazzo di Westminster e, con la corona in testa, dà lettura delle proposte di legge per i dodici mesi seguenti. La circostanza di riunire le massime cariche dello stato nello stesso luogo può rappresentare una tentazione per terroristi, rivoluzionari o criminali: non a caso è in tale occasione che nel 1605 un cospiratore passato alla storia, Guy Fawkes, tentò di fare saltare in aria l’intero parlamento con trentasei barili di polvere da sparo. Ed è in questa giornata particolare che lord Michael Dobbs, l’ormai celebre autore di House of Cards, ambienta il primo romanzo di una nuova serie, Il giorno dei Lord(pubblicato in Italia da Fazi): una sfida terroristica alla democrazia britannica e perfino alla sua sopravvivenza, giocata tutta dentro l’edificio soprannominato “ la madre di tutti i parlamenti” perché è qui che, con la Magna Carta, iniziò il moderno stato di diritto. Ma se la saga diventata famosa in tutto il mondo con l’adattamento televisivo che ne è stato tratto in America aveva per protagonista un anti-eroe, il cinico e spregiudicato uomo politico Frank Underwood, questa è invece incentrata su un parlamentare eroico, Harry Jones, ex-commando delle Sas, le leggendarie forze speciali dell’esercito britannico.
Come le è venuta l’idea del romanzo, lord Dobbs?
«Vent’anni fa, quando ancora non ero membro della camera dei Lord, qualcuno mi portò a visitarla. Ci soffermammo proprio davanti al trono su cui siede la regina per l’apertura dell’anno parlamentare. Notai una porticina alle spalle del trono. Immaginai che potesse contenere una guardiola di sicurezza per proteggere Sua Maestà o un passaggio segreto per permetterle di fuggire in caso di pericolo. Il mio accompagnatore mi incoraggiò ad aprirla: ebbene, era un bugigattolo contenente scope e secchi per le pulizie. L’esistenza di una stanzetta così ordinaria accanto al simulacro del nostro sommo potere mi parve incredibilmente curiosa. La prima ispirazione per la mia storia nasce da lì».
Ma poi non ha scritto la storia di una donna delle pulizie.
«No, anche se quella stanzetta ha un ruolo nella vicenda che racconto. Del resto il palazzo del parlamento è fatto tutto così: un labirinto di camere, scale, corridoi, un dedalo in cui è facile perdersi o nascondersi. E per essere un palazzo del potere era straordinariamente mal protetto: quando me ne resi conto, facendo ricerche per questo libro, scrissi al ministro degli Interni e a Scotland Yard per ammonirli. Non mi diedero ascolto. Dopo l’attacco terroristico dello scorso anno sul ponte di Westminster, concluso con un poliziotto accoltellato e l’attentatore ucciso a colpi di pistola dentro al cortile del parlamento, la sicurezza è finalmente migliorata».
Nel romanzo tocca a un deputato ex-commando occuparsi di ristabilire la sicurezza e salvare la nazione: è ispirato a qualcuno?
« Ci sono molti ex- militari in parlamento. Harry Jones non è il ritratto di uno in particolare, ma per l’ispirazione avevo l’imbarazzo della scelta».
Dunque se “House of Cards” ha per protagonista un politico “ cattivo”, “ Il giorno dei Lord” e gli altri romanzi della nuova serie hanno come protagonista un politico “buono”?
«Anche Harry Jones ha i suoi difetti, per esempio nei rapporti con le donne. In generale penso che tutti abbiano un lato oscuro. I buoni non sono mai del tutto buoni. E i cattivi possono avere un lato umano. Vale per i grandi personaggi e pure per le persone normali, me incluso, se do ascolto a quello che dice mia moglie! Comunque la maggioranza dei politici sono animati da buone intenzioni. Il problema è che per avere risultati bisogna scendere a compromessi, talvolta anche con sé stessi. Vale per l’eroico Harry come per il cinico Frank Underwood».
A proposito, si aspettava il successo planetario di “House of Cards”?
«Assolutamente no. Cominciai a scriverlo per vincere le noia durante una vacanza, non pensavo che l’avrei finito, né che sarebbe stato mai pubblicato e tantomeno che trasformasse la mia vita».
La serie originale si svolge in Gran Bretagna. Preferisce l’adattamento che ne fece la tivù inglese o quello più recente americano di Netflix, a cui peraltro lei collabora?
«Sono entrambi miei figli, non posso avere preferenze. Ma posso dire, essendo appena tornato dalle riprese della stagione finale di House of Cards negli Stati Uniti, che sul set siamo una grande famiglia, piena di gioia e di affetto reciproco ».
Eppure adesso c’è una pecora nera in quella famiglia.
«Chi?»
Kevin Spacey.
«Chi? Preferisco non parlarne. La vita va avanti».
Parliamo allora del segreto del suo mestiere: come si diventare uno scrittore di grande successo?
«Non sono uno scrittore. Sono un narratore, che di libro in libro ha imparato a scrivere meglio. Il segreto è non annoiarsi in quel che fai. E io, scrivendo, non mi annoio mai. Posso essere nella sala partenze di un aeroporto e non mi annoio, perché guardando la gente intorno a me trovo ispirazione per storie e personaggi. E so che perfino se la vita mi riservasse momenti difficili, anche da quelli potrei trarre materiale per raccontare storie».
La sua vita sembra per l’appunto un romanzo di Dickens: nato in una famiglia della classe operaia, laureato a Oxford, vice-presidente della maggiore agenzia pubblicitaria del mondo, capo dello staff del partito conservatore e ora membro della camera dei Lord, per tacere dell’attività di autore di bestseller seriali.
«Ho avuto una vita fortunata. E la fortuna di vivere in un tempo straordinario. Quando ero giovane, chiunque poteva sognare di realizzare i suoi sogni. La colpa più grande dei leader odierni o del nostro tempo è avere negato ai giovani d’oggi la stessa possibilità di sognare».
Com’era Margaret Thatcher, con cui lei ha lavorato a lungo?
«Sapeva quel che voleva. Ed era pronta a sacrificare la carriera per i valori in cui credeva. Due tratti rari nei politici contemporanei, che tengono soprattutto a due cose: essere amati ed essere rieletti. Ciò non toglie che Maggie fosse una donna estremamente difficile. Ha finito per essere incredibilmente scortese con me: iniziai a scrivere House of Cards proprio per come mi ha trattato. Ma è stata indubbiamente il più grande premier britannico del Ventesimo secolo in tempo di pace».
Lei che è nato alla stessa ora, lo stesso giorno, lo stesso anno del principe Carlo, pensa che diventerà un grande re?
«Carlo diventerà re a un’età molto avanzata. Verrà dopo una regina popolarissima, che ha regnato più a lungo di ogni altro sovrano nella nostra storia; e saprà che il suo erede, William, è già a sua volta molto popolare. Sono gli scherzi del sistema ereditario. Ciononostante la nostra monarchia conserva un altissimo indice di gradimento, come ha dimostrato il recente royal wedding. Carlo dovrà cercare di mantenerlo, in una sorta di passaggio del testimone da sua madre a suo figlio».