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 2018  giugno 09 Sabato calendario

Nella baracca dove viveva Sacko: branda, fornello, il tetto di plastica

SAN FERDINANDO (REGGIO CALABRIA)La baracca di Soumaila Sacko è ricoperta di teli di plastica che ripara meno e in caso d’incendio brucia di più. Per questo lui cercava le lamiere. «Sono meno rischiose e più pratiche», spiega Moussa il coinquilino che dormiva nella branda vicino alla porta. Poco più in là c’è il fornello e qualche vettovaglia, dietro una tenda il materasso-ricovero di Sacko, morto per avere un tetto più sicuro; ammazzato da chi – secondo l’accusa – voleva l’esclusiva di furto del ferro e laterizi nella Fornace abbandonata di San Calogero, dieci chilometri da qui. Ieri il giudice ha confermato la gravità degli indizi raccolti dai carabinieri e dalla Procura a carico di Antonio Pontoriero, l’agricoltore vibonese arrestato per l’omicidio di Sacko, che però nega di aver sparato.
Gli amici della vittima, nel campo profughi di San Ferdinando che doveva essere smantellato ma è rinato sulle ceneri di se stesso perché la tendopoli più vivibile costruita dall’altra parte della strada non può contenerli tutti, chiedono giustizia. «Vogliamo che la sua salma possa tornare in Mali – dice Moussa —, e chiediamo che adesso qualcuno aiuti sua moglie e la bimba di 5 anni a cui Sacko mandava i pochi soldi che riusciva a guadagnare qui. E vogliamo che chi l’ha ucciso paghi». 
È difficile parlare e sentir parlare di legalità e giustizia in un posto come questo, emblema di illegalità e ingiustizia, rifugio di migranti che nessuno è in grado di dire se siano regolari o clandestini, lavoratori in nero arruolati dai «caporali» per 3 euro l’ora, che quando smettono di faticare nei campi si rifugiano tra queste baracche di cartone, plastica e ferro arrugginito, dormitori in mezzo alla polvere con latrine a cielo aperto nascoste alla vista di chi non ci abita. Ed è difficile immaginare scene più degradanti, per chi ci vive e per chi consente che tutto questo sopravviva. 
Le forze di polizia, che stazionano fuori dal campo con una camionetta e qualche macchina accanto a quattro cassonetti sempre pieni (uno bruciato), fanno quello che possono per evitare che lo scempio di umanità degeneri ulteriormente. Esattamente due anni fa, l’8 giugno 2016, un altro maliano, Sekine Traore, venne colpito a morte da un carabiniere ferito mentre tentava di sedare una rissa; già allora lo scandalo di San Ferdinando rimbalzò dalla Calabria alle cronache nazionali, ma da allora è cambiato poco o niente. Oggi, dopo l’omicidio di Sacko, la politica torna nella baraccopoli. Lunedì verrà il presidente della Camera, Roberto Fico; ieri è stata la volta della delegazione del Pd guidata dal presidente Matteo Orfini, che ha parlato di «girone infernale dantesco» e attaccato duramente il ministro Salvini e i suoi slogan anti-immigrati. Ma agli abitanti di questo ghetto-discarica, delle polemiche tra i partiti importa poco. Loro vorrebbero case, anche perché sono consapevoli di essere un ingranaggio importante dell’economia locale. Il lavoro nero e sottopagato (che raggiunge il suo massimo con la raccolta degli agrumi in inverno, quando il freddo rende la vita ancora più complicata) consente ai proprietari delle terre di guadagnare qualcosa; dovessero regolarizzare i braccianti non metterebbero più i prodotti sul mercato perché azzererebbero i guadagni. Almeno così dicono. Dunque questi extra-comunitari trattati da extra-terrestri servono, ma non si riesce a trattarli da esseri umani. E l’abbandono produce pericolo per tutti, come dimostrano le grida minacciose del ghanese già ubriaco alle 10 di mattina, che manda «affangulo» chiunque gli si pari davanti; o i racconti di un volontario italiano chiamato Rambo, presenza amica dei migranti: «Qui quando cala la sera non ci si può avvicinare, dentro e dietro queste baracche succede qualunque cosa», dice lasciando immaginare traffici e pratiche che rendono tutto ancor più disumano.
In teoria quest’area piena di fabbriche abbandonate (alcune delle quali occupate da altri braccianti neri) dovrebbe essere riconvertita in Zona economica speciale, con tanto di finanziamenti europei; lo sgombero e la bonifica sarebbero dunque una priorità, ma nell’attesa restano il degrado e un morto ammazzato in più.