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 2018  giugno 09 Sabato calendario

Spoils system, ecco l’usato sicuro da Rutelli a Palazzo Chigi

A palazzo Chigi il nuovo che avanza ha il penetrante profumo della Margherita. Non il fiore, s’intende, ma quello che fu il partito di Francesco Rutelli azionista del Pd. Perché la storia di Giuseppe Busia, classe 1969, ora proiettato sulla poltrona di segretario generale, figura che controlla la complessa macchina della presidenza del Consiglio, porta chiaro quel marchio politico. Prima vice capo di gabinetto di Rutelli ai Beni culturali, poi con Linda Lanzillotta agli Affari regionali, quindi nel comitato dei garanti per le primarie del nascente Partito democratico. Sbriciolatosi il secondo governo Prodi, eccolo segretario generale dell’Autorità dei contratti pubblici, per seguire nel 2012 alla Privacy il Garante Antonello Soro, parlamentare Pd di fede margheritina. Se poi è vero, come dicono i bene informati, che nel suo sbarco a palazzo Chigi c’è pure lo zampino di Gianni Letta, è la dimostrazione di quanto ancora lunga sia la via del cambiamento per il “governo del cambiamento”.Ma la vicenda Busia dice qualcosa in più sullo scenario che si profila nel cuore del potere. Dove l’arrivo del tecnico ex margheritino segna la prima sconfitta del sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti, leghista che sponsorizzava il ritorno nel palazzo di una vecchia volpe dei governi berlusconiani: l’ex capo di gabinetto di Giulio Tremonti, Vincenzo Fortunato. Ricordato, in quel ruolo, pure come il burocrate più pagato della storia repubblicana. Relegato dal governo di Enrico Letta al ruolo di liquidatore della società Stretto di Messina con l’esplicita previsione di una durata annuale per il suo incarico, Fortunato è invece lì da ben cinque anni e in qualità di commissario di una società dello stato ha chiesto allo stato stesso oltre 300 milioni di danni a causa della decisione di non costruire più il Ponte fra Scilla e Cariddi.Magistrato amministrativo, non ha poi esitato a contestare in giudizio la decisione dei commissari del Consorzio Venezia Nuova, insediati dopo lo scandalo, di revocargli l’incarico di collaudatore del Mose che gli era stato assegnato dalla precedente gestione. Né ha rinunciato a un ricorso contro il tetto alle retribuzioni dei docenti della scuola di pubblica amministrazione, di cui egli fa parte, fissato dalla riforma della ministra Marianna Madia.
Difficile dire se la sconfitta di Giorgetti sia da considerare una vittoria di Giuseppe Conte, il premier professore universitario che abbiamo sentito chiedere alla Camera il permesso di parola al deputato diplomato Luigi Di Maio. Ma la singolarità della situazione cui stiamo assistendo, quella di un premier non eletto esecutore di un programma scritto da altri che per la prima volta in settant’anni non ha nemmeno potuto scegliere il proprio sottosegretario alla presidenza, è tale da far presupporre riflessi significativi anche sul fronte aperto dalla vicenda Busia. È il cosiddetto spoils system, il sistema delle spoglie degli incarichi apicali di ministeri e apparati pubblici: segretari generali, capi di gabinetto, vertici delle agenzie e degli enti pubblici. Decine e decine di posti pesantissimi che devono per legge essere confermati. Pressoché con ogni governo questa partita ha segnato la sopravvivenza di vecchie nomenclature, di volta in volta più vicine alla destra o alla sinistra.
Quando non disposte serenamente, e trasversalmente, a cambiare etichetta. E se ha ragione chi sostiene che il vero cambiamento si vede da qui, i primi segnali dicono che le carte, ahimé, girano sempre allo stesso modo. Certo, la Lega bazzica il Palazzo ormai da un quarto di secolo e ha i piedi ben piantati nel vecchio sistema. Con tutti i suoi residui maleodoranti. Ma è un segnale preciso anche la circostanza che il ministro grillino Luigi Di Maio si appresti a recuperare Vito Cozzoli, già capo di gabinetto di Federica Guidi estromesso da Carlo Calenda, considerato vicino a Maria Elena Boschi: e proprio mentre a palazzo Chigi l’ex margheritino Busia prende il posto di Paolo Aquilanti, che da Maria Elena Boschi era stato nominato. A differenza di Aquilanti, insomma, Cozzoli deve aver pescato la carta giusta.
Il sospetto è che le solite logiche possano avere come sempre il sopravvento su merito e capacità. A dispetto dei proclami e del curriculum, ovviamente. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, che sta rivoluzionando lo stantìo sistema della riscossione, sarà messo sullo stesso piano di qualche capo dipartimento di palazzo Chigi da epurare soltanto perché entrambi sono stati nominati dal governo Renzi? Che ne sarà poi di Daniele Franco, stimato dirigente proveniente da Bankitalia, collocato al vertice della Ragioneria dello stato dal governo di Enrico Letta e prorogato da Paolo Gentiloni insieme al capo della Polizia Franco Gabrielli? E sia Roberto Reggi, direttore del Demanio già renziano a 24 carati, sia il responsabile delle Dogane Giovanni Kessler ex deputato ulivista, pagheranno forse lo scotto di aver avuto la nomina solo per ragioni politiche? Con la prospettiva di essere magari sostituiti, i due, da chi vanta meriti politici di segno opposto?Se il buongiorno si vede dal mattino...