La Stampa, 9 giugno 2018
Ferran Adriá: «Filosofia oltre la cucina. La mia rivoluzione dell’esperienza gastronomica»
Esiste una «Madeleine de Proust» per Ferran Adriá? Il cuoco più osannato e discusso del XXI secolo non ha dubbi: «El amor de mi madre». Con gli artisti spagnoli è così: sembrano sempre usciti da un film di Pedro Almodóvar. E lui, il 56enne Adriá, artista lo è nel senso più profondo del termine. Nel 2011, quando Time lo aveva già inserito tra i cento uomini più influenti del mondo, ha spento i fornelli di elBulli, il celebre ristorante di Roses, in Catalogna, e ha creato a Barcellona elBullifoundation. Un progetto titanico, un laboratorio dove sta dando vita a una seconda e più filosofica rivoluzione gastronomica, dopo aver cambiato per sempre i parametri del cibo nel piatto. I tasselli sono tanti: c’è Bullipedia, una piattaforma multimediale dove con la metodologia Sapiens sta catalogando tutto il sapere della gastronomia occidentale. E c’è anche un ritorno, almeno in parte, alla cucina cucinata. Adriá ha appena annunciato che entro il 2019 aprirà elBulli1846 nel quartier generale di Cala Montijoi.
Che locale sarà?
«Sarà un centro di studio, ricerca e sperimentazione sull’innovazione, attraverso diverse discipline che hanno un rapporto con la gastronomia. Si cucinerà anche, ma non sarà un ristorante. Quello l’abbiamo già fatto fino al 2011, cercando i limiti di un’esperienza gastronomica: quando li abbiamo trovati, abbiamo deciso di trasformarci».
Non le è mai mancato il lavoro quotidiano in cucina?
«Veramente no, elBullifoundation è una continuazione del lavoro che abbiamo svolto. Ora le sfide sono altre e vanno anche oltre il mio ruolo».
Chi è oggi Ferran Adriá?
«Una persona pronta a condividere con il mondo la sua esperienza nel campo dell’innovazione. Dopo elBullifoundation vorremmo continuare a sostenere chi ha la volontà di migliorare e rivoluzionarsi, cercando, ragionando e sperimentando per accelerare il talento, finché ognuno raggiunga il proprio limite».
Cosa ama fare quando non lavora?
«Sono immerso in progetti che mi appassionano, per questo sinceramente non considero le attività che svolgo tutti i giorni un lavoro. Però sono anche una persona normale: mi piace andare al cinema, viaggiare, amo il calcio».
Cos’è l’alta cucina?
«È un termine confuso, a me piace di più parlare di arte culinaria, che è fare cucina con una volontà artistica. Però penso anche che alta cucina possa essere un buon piatto tradizionale e raffinato, unito agli altri elementi che sanno offrire qualità, come il servizio».
Mangiare bene è un diritto di tutti?
«Sì, ma bisogna anche considerare la realtà e pensare che tutto il mondo possa arrivare allo stesso livello di buon cibo è un’utopia. Credo però che l’umanità abbia la possibilità di ottenere che tutti possano alimentarsi in modo dignitoso».
Cosa succederà nella gastronomia mondiale?
«Ci sono nuove generazioni di professionisti in cucina e in sala che si relazionano con la gastronomia con molto talento e con grande formazione, aperti all’interscambio fra culture e all’innovazione. Per questo guardo al futuro con ottimismo».
Dopo anni di ricerca estrema, sembra esserci un ritorno alla tradizione: è così?
«E’ un discorso che sento da 35 anni. In realtà c’è sempre stato un dialogo fra passato e futuro e continuerà. E’ normale che i cuochi più creativi girino lo sguardo verso il passato, finché non troveranno altre strade per andare avanti».
Che pensa della cucina italiana?
«Avete grandi talenti. La vostra è una cucina fantastica e ha successo in tutto il mondo. Mai nella storia gastronomica italiana c’è stata un’arte culinaria come in questo ultimo secolo».
Oggi è a Torino per il debutto di «Condividere», il ristorante nella Nuvola Lavazza di cui è consulente. Ce lo descrive?
«”Condividere” è un progetto che unisce la scena gastronomica con l’ambizione di difendere il concetto di condivisione, l’eccellenza delle materie prime con l’esecuzione, per arrivare a ottenere una offerta gustosa e attuale».
Domani, invece, sarà a Grinzane Cavour per l’Omaggio «Langhe-Roero e Monferrato: dialoghi del gusto nei paesaggi Unesco». La cucina regionale le interessa?
«Sono sempre stato innamorato del Piemonte e di tutto quel che offre, ha una cucina straordinaria e il dialogo fra cibo e vino per me è meraviglioso».
Ma chi cucina a casa sua?
«In genere non cucino in casa. Le rare volte che lo faccio, cucino quello che più piace a mia moglie e a me. Siamo grandi amanti dei prodotti del mare. Sono anche un fan della cucina messicana e ho la fortuna di avere mio fratello Albert, che con il suo gruppo elBarri ha creato due meravigliosi ristoranti messicani a Barcellona, Hoja Santa e Niño Viejo, che visito molto spesso».