Corriere della Sera, 27 giugno 2015
Estratto del libro «SmALLholidays. Vacanze in famiglia a geometria variabile». Il racconto di Felicita Chiambretti, la mma di Piero
Avevo diciannove anni quando Piero è nato; stavo da una zia perché i miei genitori mi avevano allontanato da casa. Dall’Asmara, dove vivevamo, io ero arrivata in Italia in aereo, da sola, ed ero andata ad Aosta, dove lei viveva.
I miei genitori mi avevano accusata di avere compromesso anche le mie due sorelle: secondo loro, a causa mia, non si sarebbero più sposate.
Quella era la società di allora. Noi mamme single appartenevamo alla schiera dei “diversi”, alieni pericolosi e peccatori.
Infatti io sono stata allontanata sia dalla famiglia sia dalla scuola.
Quando sono rimasta incinta stavo studiando per prendere il diploma magistrale, ma le suore mi hanno cacciata dal collegio. Una sola persona è stata comprensiva, anzi, è stata meravigliosa con me, la ricorderò sempre: suor Giandomenica. Era la mia insegnante di filosofia. Visto che non potevo più mettere piede a scuola, lei scappava dal convento per avere mie notizie e per venire a trovarmi a casa, dato che sapeva della mia gravidanza difficile.
Lei veniva da me mentre la preside dell’istituto, suor Rosamaria, spandeva veleno su di me. Ma una cosa devo dire. Poco prima di morire, suor Rosamaria mi ha cercata e mi ha inviato una lettera chiedendomi scusa per avermi espulsa dal collegio.
Io sono una persona intraprendente e soprattutto non sono duttile, non sono come il pongo; non mi modellano. E “fare da sola” è stato il filo conduttore della mia vita. Io l’ho sempre saputo. Avevo sette anni, e lo ricordo ancora molto bene, quando ho sentito una voce che mi diceva: ricordati Felicita che dovrai sempre fare da te perché nessuno ti ama. E così è stato. Ma ce l’ho fatta. La mia vita di madre sola è stata splendida. Faticosa, ma splendida.
Ero sola e dovevo lavorare. Non potevo permettermi molti svaghi e andare in vacanza era proibitivo.
Finché la zia è stata in vita, Piero stava da lei, a Moncalieri – dove si era trasferita da Aosta e dove gestiva una tabaccheria – e io lo vedevo il fine settimana. Lo andavo a prendere il sabato e lo portavo a Torino, in pullman.
Ricordo soltanto un paio di brevi vacanze fuori città. Qualche giorno, forse una settimana. Una volta ad Albisola e una volta ad Alassio. Stavamo sempre io e lui, andavamo in spiaggia e nel bar dove si poteva cantare e ballare.
Oppure andavamo da Balzola e mangiavamo i krapfen. C’erano dei krapfen meravigliosi. Stavamo lì e guardavamo.
Poi la zia, quando Piero ha sei anni e lei quaranta, si ammala di tumore e muore. E prima di morire mi dice: tieni nonna con te.
E così è stato. Io, che avevo trovato una piccola casa a Torino, ho preso con me sia Piero sia la nonna, la madre di mia madre. Nonna aveva un po’ di pensione, io lavoravo. Non è andata poi male. Ho fatto in modo che non ci mancasse nulla, soprattutto a lui; anche le vacanze. E da allora Piero ha trascorso le sue estati in un kinderheim a Quarto dei Mille, vicino a Genova. Portava un bel vestito a righe. Ci è andato per anni e io, tutte le domeniche, prendevo il treno e lo raggiungevo; in genere andavamo a Genova, mangiavamo insieme, poi arrivava la sera e ci dovevamo salutare, tristi entrambi.
Il kinderheim accettava bambini fino agli 11 anni. Lui ci è andato fino ai 14. Non era molto alto… Con i suoi racconti sul kinderheim c’è da ridere; è sempre stato un po’ ribelle, indisciplinato. Ed era anche più grande degli altri.
Piero ha iniziato a viaggiare da solo molto presto. A quindici anni è andato con un amico in Inghilterra, a lavorare in un albergo. Spingeva un enorme carrello con lenzuola, biancheria. Non so come lavorassero.
Avevo un po’ paura, ma l’ho mandato. L’ho sempre lasciato libero.
Ognuno deve fare la propria esperienza, deve essere libero di muoversi, di andare per la propria strada. Non avrei voluto un figlio che, quando la mamma è malata, sta lì a guardarle addosso.
Quando Piero ha avuto 18 anni ha incominciato a lavorare sulle navi. E da allora è sempre in giro. Ma ancora oggi, ogni volta che arriva a destinazione, mi scrive: arrivato.
Siamo in contatto quotidiano, siamo molto uniti. Quando è diventato popolare gli ho detto: guarda che potrebbe uscire fuori tuo padre. E se venisse a cercarti?
Lui ha replicato: cercare me? Ma nemmeno per sogno. Io non ricevo nessun padre. Io non ho padre, io ho solo mia madre, che mi ha fatto da padre.