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 2018  maggio 26 Sabato calendario

Marijuana fai da te

Marijuana fai da te? Non solo si può, ma adesso è boom di richieste, dopo la legalizzazione della cannabis “light”, quella con un contenuto di Thc (il principio psicoattivo) inferiore allo 0,6%, regolamentata dalla legge 242 del 2016 che, recependo la normativa europea, consente per l’appunto di coltivare «quelle iscritte nel Catalogo comune delle varietà delle specie di piante agricole», quindi non adatte ad uso terapeutico né, ovviamente, destinate alla produzione di sostanze stupefacenti e psicotrope. La differenza, anche solo di minimi sforamenti delle percentuali consentite di tetraidrocannabinolo, fa quindi la differenza tra un “raccolto” legale – ad uso prettamente florovivaistico, nel testo si parla di “piante a scopo ornamentale” – e la produzione di sostanze illegali, soggette a sequestro e alle relative conseguenze penali. Quindi occhio a improvvisarsi “coltivatori di Maria”, perché se è vero che i semi si possono piantare anche sul proprio terrazzo, le regole da rispettare sono scrupolose. PALETTI LEGALI Peraltro, non si tratta di coltivazioni a buon mercato. La “liberalizzazione”, come ribadisce l’ultima circolare ministeriale interpretativa del 22 maggio («la coltivazione di tali varietà è consentita senza necessità di autorizzazione»), è accompagnata da una serie di paletti che fanno dell’agricoltore improvvisato un soggetto a rischio. Sia a livello di legge che del proprio investimento. «La circolare aiuta perché legalizza chi produce e fa rinascere la voglia di coltivare terreni, spesso lasciati abbandonati in tutta Italia – spiega uno dei maggiori esperti della materia, l’avvocato Filippo Molinari -. La Puglia è stata la prima a investire 30 milioni di euro nella produzione di cannabis, che ha rilanciato l’economia». Che però mette in guardia chi volesse avvicinarsi a questa coltivazione – per cui l’Europa ha stanziato ingenti fondi, dato l’effetto benefico provato di questa pianta sul territorio e nella filiera alimentare, cosmetica, industriale (la stanno usando anche nelle aree contaminate intorno all’Ilva per bonificare i terreni) – senza aver studiato prima la legge e le normative. Soprattutto se accecati dal miraggio di facili guadagni. Secondo gli ultimi dati, il mercato della marijuana illegale frutta, solo in Italia, dai 7 agli 11 miliardi di euro. «Anche se non è più obbligo, io consiglio sempre di comunicare l’attività ai carabinieri, dato che può essere fatta alla luce del sole. Ma la coltivazione personale può essere un problema, se non si è esperti, perché si può incorrere in spiacevoli situazioni: i semi devono appartenere all’elenco europeo e bisogna conservare fatture ed etichette delle sementi per almeno 12 mesi, io consiglio tre anni. Inoltre, tutta la coltivazione va campionata e fatta certificare da istituti specializzati, con un costo che parte dai cento euro. Se uno sogna un orto solo per farsi qualche canna a effetto blando, lasciate stare». ALL’APERTO E INDOOR Il problema, per i coltivatori, sta proprio nel calibrare il bilanciamento del Thc. Da normativa europea non deve superare il limite totale dello 0,2%, ma in Italia è ammesso «entro il limite dello 0,6%». In caso di sforamento, «l’autorità giudiziaria può disporre il sequestro o la distruzione delle coltivazioni». Con l’intero investimento che, nel caso più soft, andrà in fumo. Mentre il quantitativo di Cannabidiolo, il Cbd che determina l’effetto rilassante, anti-convulsionante e distensivo della cannabis, è libero. «Quello che contrassegna il prodotto di qualità è il fiore senza semi che si ottiene non dalla coltivazione più semplice, quella all’aperto, ma da quella “indoor”, in serra, che ti obbliga ad attrezzarti con lampade riflettenti, ventilatori, umidificatori, misuratori di temperatura, umidità e ph, concimi specifici» spiega un produttore laziale, che stima il costo dell’investimento in 400/500 euro a metro quadro. Mentre quella “open air” è quasi a costo zero, «ma se si sbaglia il dosaggio di Thc, o se c’è una nevicata, il raccolto va perso e non si ottengono più di due raccolti l’anno». Oggi il business della cannabis è selvaggio. «È un po’ come per l’introduzione delle slot machine, che all’inizio erano equiparate ai flipper – confida un produttore che ha appena registrato due marchi -, La produzione di fascia bassa si vende al dettaglio a 10-12 euro al grammo a negozio, all’ingrosso a molto meno, mentre quella di fascia top si vende dai 1800 al chilo fino a 3-4mila euro, con ricarichi fino al 200%. La corsa è a posizionarsi, anche investendo in perdita. Se la normativa si stringerà, per i piccoli sarà un’ecatombe. Oggi vince l’autoimprenditorialità». riproduzione riservata LA PIANTA La cananbis, o canapa, è una pianta erbacea a ciclo annuale, la cui altezza varia tra 1,5 e 2 metri. Alcune varietà contengono una sostanza psicoattiva, il tetraidrocannabinolo (thc), che se assimilata in alta quantità, induce alterazione della coscienza. Come sostanza psicoattiva vengono comunque usate solo alcune parti della pianta, prevalentemente i fiori femminili (da cui si ricava la marijuana) e la loro resina (da cui si ottiene l’hashish) fumati, inalati o ingeriti. LIMITE CONSENTITO La legge italiana n.242 del 2016, recependo la normativa europea, ha liberalizzato la coltivazione della canapa a basso contenuto di thc. Da normativa europea (in particolare, dal Regolamento delegato UE n. 639/2014) non deve superare il limite totale dello 0,2 per cento per cento, ma in Italia è ammesso coltivare piante che contengano thc «entro il limite dello 0,6 per cento».