Il Messaggero, 26 maggio 2018
Ritratto di Ricciardetto
Era stato definito il Walter Lippmann italiano: cioè il commentatore di politica estera più documentato e competente. Ma Augusto Guerriero, alias Ricciardetto, era molto di più di un columnist autorevole. Era un uomo di cultura sovrana e di stile inconfondibile, che con Panfilo Gentile e Indro Montanelli rappresentò per molto tempo il vertice dell’eleganza e della perfezione della lingua italiana. La sua genialità risiedeva nella frase asciutta e incisiva, che improvvisamente si elevava alla solennità di una sentenza filosofica. Chi leggeva un suo articolo, fosse sulla guerra di Corea o sui missili di Cuba, sulla musica di Bach o sui manoscritti di Qumran, lo finiva di un fiato, e si domandava come fosse possibile riassumere tanti concetti in così poco spazio e così bene. La risposta è che Guerriero aveva avuto come maestro Blaise Pascal, e sapeva coniugare l’esprit de géométrie con l’esprit de finesse. Ma quanto lavoro dietro tanta apparente semplicità. «Per essere concisi e chiari – affermò citando il filosofo francese – occorre lavorare molto». In effetti Pascal, avendo scritto a un amico una lettera un po’ prolissa, si era scusato così: «Purtroppo non ho avuto il tempo di essere breve».
Augusto Guerriero era nato ad Avellino, il 16 Agosto 1893, da una famiglia della buona borghesia. Come molti altri giovani della sua generazione subì l’influsso anarchico dell’utopismo tolstoiano, e si laureò in giurisprudenza con una tesi sul grande scrittore russo. Con l’andar del tempo questa illusione si affievolì, e si convertì in scetticismo: come Clemenceau, concluse che chi non è socialista a vent’anni è senza cuore, e chi lo è ancora a cinquanta è senza cervello. In età matura, si definì «un conservatore che non ha nulla da conservare».
IL FASCISMOTra le due guerre entrò nella magistratura amministrativa e cominciò a collaborare con vari giornali. Leo Longanesi lo notò e gli offrì una rubrica con lo pseudonimo di Ricciardetto. Durante il fascismo mantenne un’indipendenza intellettuale compatibile con la censura del regime lasciando intendere, con dolente prudenza, che la guerra avrebbe portato il paese alla catastrofe. Il periodo postbellico fu per lui quello più fruttuoso. Per quasi trent’anni, i suoi editoriali di politica estera furono modelli di analisi acute e di anticipazioni geniali: previde la sconfitta di Churchill nel 45, la crisi dei missili a Cuba, la caduta di Kruscev e la disfatta americana in Vietnam. Non era un veggente, semplicemente conosceva la storia e gli uomini. Il suo modello era Tucidide, che ancora oggi dovrebbe costituire il breviario e il viatico per chiunque si avventuri nella politica.
Era alla disperata ricerca di Dio. Ma gli era difficile trovarlo nella Storia, troppo brutale e sanguinaria per ammettere l’intervento di una Provvidenza benevola, e ancor più impossibile trovarlo nella Natura, così imperturbabile nelle sue capricciose stragi di innocenti. Percorse la strada della teologia, e come Faust ne uscì ancora più deluso: Dio, se esiste, è absconditus, e la Ragione non riesce nemmeno a sfiorarlo. A settant’anni si dedicò alla critica neotestamentaria, che riassunse e diffuse soprattutto nella corrispondenza con i lettori.
IL PUBBLICOFece così conoscere al grande pubblico Loisy e Guignebert, Dibelius e Bultmann, Flusser e Montefiore. Ma non ne trasse alcun vantaggio. Nella prefazione del suo Quaesivi et non inveni, smentisce, per la prima volta, il suo amato maestro francese. «Tu non mi cercheresti – Pascal fa dire a Dio – se non mi avessi già trovato». No, risponde Ricciardetto, si cerca perché non si trova, e alla fine non si trova nulla. A Dio ci si avvicina con il cuore, non con la ragione. E il cuore non si rassegna a questa sconfitta. Come Schopenhauer, pensava che la musica fosse l’unico itinerario verso l’Assoluto. Non inteso come il Nirvana del cupo filosofo tedesco, ma come elevazione spirituale che tende all’Infinito: e per lui era Bach, Bach, e ancora Bach. Descrisse l’aria della viola della Passione secondo San Giovanni in modo commovente, e confidò che avrebbe voluto morire ascoltando l’Actus tragicus: ma il Destino lo aveva punito anche lì. Era diventato sordo, e questa consolazione gli era negata per sempre. Come Beethoven, canticchiava per illudersi di sentire. Un giorno andai a trovarlo e solfeggiò un’aria della Messa in si minore lacrimando come un fanciullo.
LE MALATTIESoffriva di varie malattie, ed era paralizzato dall’artrite. Ma aveva la musica nel cuore, e un’insaziabile curiosità nella mente. La Sorte gli negò anche l’ultima consolazione: la corrispondenza con i lettori, che lo inondavano di lettere, talvolta critiche, assai più spesso affettuose. Nei primi anni settanta il Corriere virò repentinamente a sinistra, e lo cacciò via. La vecchia guardia liberale si raccolse attorno a Montanelli e al suo nuovo quotidiano, ma il disarmato Guerriero subì anche l’umiliazione di esserne estromesso. Anni dopo chiesi a Montanelli il perché di tale emarginazione: la risposta fu che Ricciardetto pretendeva di scrivere di teologia. Non era vero. La politica estera era monopolio di Enzo Bettiza, e non c’era spazio per due primedonne. Per qualche anno scrisse ancora su Epoca, poi la sua fibra cedette. Morì il 31 Dicembre del 1981, e pare che negli ultimi giorni si fosse riavvicinato alla fede.
Forse fu l’amicizia con Madre Teresa di Calcutta, che andava regolarmente a trovarlo, a minare il suo inguaribile agnosticismo.
Rileggendo i suoi articoli si rimane abbagliati da tanta saggezza e da tanta conoscenza espresse in uno stile così perfetto. Ma anche lui, come tutti, commise errori di previsione.
L’ANALISIEra convinto, da laico, che una società non potesse vivere senza una religione. E nella sua analisi amara della scristianizzazione del mondo moderno, pronosticò, sia pur con orrore, che il comunismo, con le sue promesse di un paradiso in terra, avrebbe sostituito la nostra fede millenaria.
Gli eventi gli diedero torto. Meno di dieci anni dopo la sua scomparsa il muro di Berlino crollò trascinandosi appresso le rovine di un’ideologia sciagurata. Dall’alto dei cieli, dove certamente Madre Teresa lo avrà accolto con sorridente sollecitudine, il vecchio Ricciardetto, per la prima volta, sarà stato contento di essere stato smentito.