Il Messaggero, 26 maggio 2018
Che cosa significa accorpare ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico
ROMA Quattro dicasteri in uno, sulla carta un gigantesco centro di potere in grado di fare da contrappeso al ministero dell’Economia (che però ha nelle sue mani il cruciale controllo del bilancio): l’idea di Luigi Di Maio di unire Sviluppo economico e Lavoro rappresenta una novità potenzialmente rilevantissima nella geografia governativa del Paese, anche se le modalità di effettivo accorpamento si presentano tutt’altro che immediate. Storicamente non sarebbe una novità assoluta, perché le competenze su industria e commercio da una parte e lavoro dall’altra sono state spesso tenute insieme in una sola struttura amministrativa prima della seconda guerra mondiale; ma è chiaro che il contesto attuale è molto più complesso di quello di allora. Per di più, l’attuale Sviluppo economico (Mise) è già il risultato dell’unione di tre dicasteri, decisa con la riforma Bassanini del 1999: oltre alla vecchia Industria, Commercio estero e Comunicazioni. In base a quel riassetto per la verità era anche scattato il matrimonio forzoso di Lavoro e Salute, con il nome di ministero del Welfare, che si è concluso abbastanza presto per incompatibilità delle relative competenze.
IL PROGETTO-SIMBOLOL’obiettivo dichiarato dal capo politico del Movimento Cinque Stelle è facilitare in questo modo l’avvio del progetto-simbolo dei grillini, ovvero il reddito di cittadinanza. In realtà le leve per agire su questo tema si trovano essenzialmente al Lavoro, anche se naturalmente la creazione di una mega-struttura può dare maggiore peso politico a Di Maio come realizzatore di questa missione. Ci sarebbero però anche degli effetti collaterali di importanza non trascurabile. Il ministero fino ad oggi guidato da Carlo Calenda si occupa di energia, politica industriale (compresi gli incentivi alle imprese), concorrenza e tutela dei consumatori, internazionalizzazione delle imprese e politica commerciale e poi ancora comunicazioni postali e radiotelevisive e tecnologie dell’informazione. Queste ultime deleghe, ereditate dal ministero delle Comunicazioni, hanno inevitabilmente una particolare e delicatissima valenza politica, visto che nel settore delle tv si concentra il grosso degli interessi del Berlusconi imprenditore.
Al ministero del Lavoro invece le deleghe riguardano relazioni industriali, ammortizzatori sociali, previdenza, lotta alla povertà, immigrazione e terzo settore. Entrambi i dicasteri hanno scelto il modello organizzativo basato sulle direzioni generali (non esistono quindi Dipartimenti) e sono coordinati da un segretario generale. Quali sono le aree di azione potenzialmente sovrapponibili? Una sinergia potenziale ma piuttosto evidente riguarda le crisi industriali. Attualmente al Mise sono aperti oltre 150 tavoli per aziende più o meno grandi: la gestione concreta di queste situazioni mette in gioco negoziati tra imprese e sindacati, possibili incentivi e ammortizzatori sociali: già oggi è richiesto un coordinamento più o meno formale. Altre aree invece sono più distanti ed anche in chiave di spending review gli unici risparmi potrebbero venire da voci trasversali quali il personale o l’informatica.
I VICEMINISTRIMa anche se si farà la scelta politica di far nascere alla fine un solo super-ministero, questo processo sarà lungo: riorganizzazioni e regolamenti, che devono passare dal Consiglio dei ministri, potrebbero richiedere anche un anno. L’alternativa (e comunque inevitabilmente la soluzione provvisoria in una prima fase) è quella di un ministro che si fa in due, mantenendo strutture separate e due distinti capi di gabinetto e alternandosi tra le due sponde di Via Veneto. È l’approccio scelto a fine 2011 da Corrado Passera, che nel governo Monti si insediò alla guida dello Sviluppo economico ma anche delle Infrastrutture e trasporti, senza poi realizzare alcun tipo di matrimonio tra le due strutture; che infatti tornarono ad essere separate un anno e mezzo dopo con il governo Letta. Questo assetto se replicato potrebbe suggerire a Di Maio anche la presenza di due viceministri in grado di fare da punti di riferimento nei rispettivi ambiti.
Luca Cifoni