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 2018  maggio 26 Sabato calendario

Dovizioso ha scritto un libro

Ero l’uomo invisibile. Un numero. C’ero ma non c’ero. “Te, Dovi, sei del colore dell’asfalto” mi ha detto una volta Luca Cadalora. Aveva ragione. La gente non mi vedeva proprio». Sono le prime parole di Asfalto, il racconto autobiografico che Andrea Dovizioso ha appena pubblicato con Mondadori.
«Ma l’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale» è la citazione di Lucio Dalla che apre il libro. Curioso, per un pilota.
«Già, il campione per tutti è quello che fa cose pazze, il più figo di tutti. Io sono l’opposto, sto coi piedi per terra, vivo a Forlì. Ma questo mi ha permesso di fare quello che ho fatto, cioè vivere a 32 anni il mio momento migliore».
Nel frattempo soffrendo anche un po’, si immagina.
«Eh sì, è dura non essere notato. Ma non ho mai pensato di cambiare e alla fine la scelta ha pagato. Credo che oggi la mia normalità piaccia, ci si identifichi».
Qualcosa di eccezionale deve pur averlo, però.
«Anche ai giochi della gioventù per me non esisteva fare secondo. Potevo solo vincere.Sei differente dagli altri da questo punto di vista, te ne accorgi. Forse me l’ha trasferito il babbo con il Dna, è probabile».
A suo tempo pilota appassionato, anche se a livelli molto inferiori al suo. Però lei dice che il carattere è quello della mamma.
«Sì, quando sei tra i 7 e i 14 anni il babbo è un idolo: ti vedi in lui e pensi di essere come lui. Poi cresci, capisci qualcosa in più di te stesso. Ora so di essere molto più vicino a mia mamma, sono riservato e timido come lei».
Ora è padre anche lei: Sara, 8 anni. È finito sui giornali perché l’accompagna a scuola.
«So di non poter essere a casa come chi fa l’operaio, ma quando ci sono faccio una vita molto tranquilla, anche per recuperare energie. E quindi porto la figlia a scuola. È normale, ma la gente pensa che i piloti della MotoGp siano supereroi. Che non facciano cose normali».
Sono stato in pista al Mugello, vi ho visti staccare alla fine del rettilineo: non sarete supereroi, ma insomma...
«Quello è il punto o uno dei punti più difficili, pericolosi, estremi al mondo. E quando arrivi a quel dosso a 340 chilometri orari le moto si ribellano un po’. Però lì ci arrivi per gradi, fai tutte le categorie, con moto che mano mano aumentano di potenza, ci impieghi anni. Sì, stai facendo una cosa speciale in quel momento, però non la fai perché sei speciale. Hai imparato a gestirla».
La paura c’è sempre?
«Sempre, continuamente, anche in una curva banalissima, perché sei sempre al limite. Ogni volta puoi cadere e quando cadi può succedere di tutto. La paura è sempre lì. E ci deve essere».
I soldi contano?
«Posso dire di non aver mai fatto una scelta importante per soldi. In casa abbiamo sempre avuto grossi problemi economici, di sopravvivenza, perché il mio babbo voleva correre. Correre costa, magari poco, ma se hai poco, è tanto. Facevamo le gare e io avevo meno degli altri, come abbigliamento, moto, tutto. Ero diverso, lo vedevo, ma i miei sono stati bravi a non farmi vivere male questo aspetto. Avevo la fortuna di una passione così grande che passavo sopra a tutto. Ho imparato che i soldi hanno valore, ma che non si deve vivere per i soldi».
Correre è ancora divertente? Ha senso questa parola?
«Assolutamente sì. Se non fosse così, nessun pilota potrebbe superare i propri limiti. Ogni tempo che fai non è mai il migliore. Non basta mai, devi fare di più. Ma se non ti diverti, non potrai mai superare quel limite. E non supererai mai quel limite se lo fai per soldi».
Lei e Marco Simoncelli eravate rivali.
«I rivali per eccellenza. Noi e le nostre famiglie. La morte di Marco mi ha cambiato nel profondo: la rivalità determina opinioni sbagliate sulle persone, ho capito che quello che avevo vissuto fino a quel giorno era solo un punto di vista. Siamo abituati a parlare male degli altri, a commentare. È limitante. Bisognerebbe pensare più a se stessi, si vivrebbe meglio e si creerebbero meno problemi agli altri».
A proposito di commenti: i social non le piacciono.
«Per me è difficile avere a che fare con il niente. A quasi tutti interessa solo la foto con uno famoso da mettere sui social. È una delle cose con meno sostanza al mondo. Mi dà fastidio. Perché devo avere a che fare con la poca sostanza?».
Dicono che abbia cominciato a vincere dopo l’incontro con un «guru della mente».
«Voi giornalisti cercate ogni volta spiegazioni semplici. Ma è sempre un insieme di ragioni che porta a un risultato. La verità è che, anche grazie a quell’incontro, sono migliorato come essere umano. Se ti comporti meglio, tutto intorno a te migliora, anche le persone con cui lavori. Tutto ha un effetto».
Insomma, la competizione vera è con se stessi.
«Deve essere così. Devi essere egoista, migliorarti. Non comportarsi male, anzi. Alla base di tutto c’è il rispetto delle persone. Infatti se sei egoista in senso buono, stai bene con te stesso e fai star bene gli altri».