La Stampa, 26 maggio 2018
Clinton scrive un giallo che ha al centro un presidente scomparso
«Noi pensiamo – speriamo – di avere un altro giorno, almeno». Il momento è drammatico. Nel mondo è esplosa una grave crisi internazionale, e il presidente degli Stati Uniti è scomparso. Nessuno sa bene il perché, ma la Casa Bianca è comprensibilmente nel panico.
Questo è il clima di The President is Missing, il romanzo scritto a quattro mani da James Patterson e Bill Clinton, che il 4 giugno uscirà negli Stati Uniti da Knopf e Little Brown, e in Italia da Longanesi, con il titolo Il presidente è scomparso. Dunque un romanziere che ha venduto oltre 350 milioni di copie nella sua carriera, e una persona che ha passato otto anni nell’Ufficio Ovale, per andare dietro le quinte di come si affronta una crisi potenzialmente devastante alla Casa Bianca.
Entertainment Weekly ieri ha pubblicato le prime anticipazioni, che promettono una storia mozzafiato. Ad esempio, questa conversazione tra il presidente e il deputato Kearns. «Chiamare il leader dell’Isis – domanda il parlamentare – serve a proteggere il nostro paese?». Il capo della Casa Bianca risponde irritato: «Cosa? Di cosa stai parlando? Io non ho mai chiamato il leader dell’Isis. Cosa c’entra l’Isis con tutto questo?».
Il problema è che un agente americano della Cia, Nathan Cromartie, è morto in Algeria durante un’operazione che aveva lo scopo di impedire ad una milizia anti russa di uccidere il terrorista Suliman Cindoruk, responsabile dell’omicidio di molti cittadini Usa. La conversazione tra il deputato e il presidente, quindi, diventa drammatica: «Non ritiene di dovere delle risposte la famiglia Cromartie?». Il capo della Casa Bianca risponde: «Nathan Cromartie era un eroe. Era un patriota. E capiva meglio di chiunque altro che quanto faceva nell’interesse della sicurezza nazionale non poteva essere discusso pubblicamente. Io ho parlato in privato con la signora Cromartie, e sono profondamente dispiaciuto per quello che è accaduto a suo figlio. Oltre a ciò, non commenterò oltre. Non posso, e non lo farò». Il confronto diventa ancora più duro: «Signor presidente, non crede che forse la sua politica di negoziare con i terroristi non ha funzionato così bene?». Riposta del capo della Casa Bianca: «Io non negozio con i terroristi». Il deputato allora attacca: «Comunque lo voglia definire. Chiamarli. Arrangiare le cose con loro. Coccolarli». «Io non li coccolo...».
Il secondo scambio avviene durante un’audizione parlamentare. «Lei, signor presidente, non ha fatto mistero di preferire il dialogo alle dimostrazioni di forza, di discutere le cose con i terroristi». «No», è la replica secca, mentre il sangue fa pulsare le tempie del presidente, per la semplificazione che incarna tutti i difetti della politica: «Quanto ho detto ripetutamente è che se c’è una strada per risolvere pacificamente una situazione, quella pacifica è la via migliore da seguire. Discutere non è arrendersi». «Ingaggiare il nemico è un modo di descrivere la cosa, signor presidente. Coccolarlo è un’altra». «Io non coccolo i nemici. Né rinuncio all’uso della forza con loro. La forza è sempre un’opzione, ma non la userò se non la riterrò necessaria. Ciò può essere difficile da capire per un membro del country club, che ha ereditato un trust-fund, e ha passato il tempo in qualche segreta fratellanza universitaria dove si giura sui teschi, ma io ho incontrato il nemico a testa bassa sul campo di battaglia. Io mi fermerò a riflettere prima di mandare i nostri figli e figlie in guerra, perché sono stato uno di questi figli, e conosco i rischi».
La conversazione si infuoca, perché il presidente è stato prigioniero di guerra, ha subito ferite e torture, e non accetta ora di essere sottoposto ad un interrogatorio che ha il solo scopo di dargli un facile calcio negli stinchi politico: «Qual è la decisione più difficile che ha preso questa settimana, signor Kearns? Quale cravattino indossare all’audizione? Da che parte pettinare il suo ridicolo riporto? Negli ultimi tempi io passo quasi tutto il mio tempo a cercare di garantire la sicurezza di questo paese. Ciò richiede decisioni difficili. Alle volte tutte le opzioni sono di merda, e io devo scegliere quella meno di merda...». Il presidente quindi si alza, sbatte il microfono sul tavolo, fa cadere la propria sedia e va via.
Senza rivelare la trama, o i segreti sulla sparizione del capo della Casa Bianca, è chiaro che un elemento affascinante del romanzo è il fatto di avere come coautore un protagonista diretto. Attraverso la penna del romanziere Patterson, il vero presidente Clinton offre la descrizione della crisi dietro le quinte con un realismo unico.
Dai brani anticipati, però, è evidente anche il collegamento con la realtà di oggi. Non solo per la citazione dell’Isis e del terrorismo, ma soprattutto per l’approccio. Obama e Clinton non hanno mai combattuto, e la figura dell’ex prigioniero di guerra si avvicina di più a quella del senatore morente McCain. Quella discussione accesa sull’uso della forza, però, potrebbe averla fatta proprio Barack, mentre valutava se invadere o no la Siria. E adesso torna di estrema attualità, mentre Donald Trump è dibattuto fra l’ipotesi di risolvere la crisi nucleare nordcoreana con l’intervento militare, oppure cercando di riannodare il filo del vertice di Singapore con Kim Jong un appena annullato.
Nel mondo sempre più caotico in cui viviamo, sono dilemmi ormai ricorrenti. Questa storia aiuta i lettori a immedesimarsi, e magari farsi un’idea più precisa del genere di leader a cui vogliono affidare le soluzioni.