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 2018  maggio 25 Venerdì calendario

Gli scontri tra premier e presidenti della repubblica

Il Presidente volse lo sguardo e fissò negli occhi l’interlocutore: «Mi vedo costretto a insistere: per motivi di opportunità quel nome non può andare». Era la primavera del 1994, nel grande studio non volava una mosca e di fronte ad Oscar Luigi Scalfaro non sedeva un giovane Di Maio qualunque ma l’uomo – scatenato e potente – che avrebbe segnato per venticinque anni la politica italiana.
Silvio Berlusconi aveva appena vinto le sue prime elezioni e davvero non capiva il senso delle obiezioni del Capo dello Stato. Perché non voleva come ministro della Giustizia il senatore Cesare Previti? Che problema poteva mai costituire il fatto che fosse il suo avvocato? E infine: davvero il Presidente della Repubblica poteva depennare a piacimento questo o quel nome dalla sua lista di ministri? Berlusconi imparò che Scalfaro poteva: Cesare Previti finì al ministero della Difesa, ma insieme a quel trasloco finì anche quel po’ di cordialità che aveva segnato (necessariamente) il rapporto tra i due presidenti.
Non è un episodio minore – anche se altri e più aspri scontri sono andati in scena lungo il delicato asse Quirinale-partiti – e serve a dimostrare che, in quanto a conflitti, le tensioni di questi giorni non sono l’alba di un bel niente. Certo, non si erano mai letti veri e propri avvertimenti al Capo dello Stato, come quelli fatti giungere al Quirinale via Twitter o Facebook dalla famiglia Di Battista. Né si erano mai registrate pressioni della violenza di quelle esercitate da Salvini da questo o quel tetto di Roma: ma in quanto a tensioni, insomma, nulla di nuovo sotto il sole.
A dir la verità, anzi, alcuni dei conflitti del passato superano di gran lunga – per delicatezza e spessore – la confusa bagarre contemporanea: e la superano non tanto per la durezza dei toni ma per la caratura degli uomini con i quali gli ultimi presidenti (diciamo da Oscar Luigi Scalfaro in poi) hanno dovuto confrontarsi. Parliamo di Bettino Craxi, per dire. Di Silvio Berlusconi. E di premier o aspiranti premier come Bersani o Matteo Renzi. Leader esperti, duri e difficili da piegare: tutt’altra musica, insomma, rispetto ai giovani diarchi che stanno cingendo d’assedio il Quirinale.
Scalfaro, per esempio, dovette fare i conti con un astro nascente (Berlusconi, appunto) ed una stella cadente (Bettino Craxi). Non ebbe timori nell’affrontarli. La cronaca ci ricorda che al leader socialista – nella primavera del 1992 – non solo negò l’incarico di costituire un governo (Tangentopoli andava esplodendo con tutto il suo fragore) ma si incaricò addirittura di accelerarne le dimissioni da segretario del Psi con una frase diventata storia: «Chi ha salito le scale del potere, deve saperle ridiscendere con uguale dignità». E parliamo di Bettino Craxi, forse il leader più potente degli interi anni ’80...
Ancora più duri furono gli scontri che Scalfaro sostenne con Silvio Berlusconi, portatore di un’idea dei rapporti istituzionali un po’ sui generis: modificò e riplasmò la lista dei ministri del suo primo governo (primavera 1994) e dopo pochi mesi ne curò la sostituzione, diciamo così, scegliendo come nuovo premier Lamberto Dini. L’operazione gli costò l’accusa di aver favorito un “ribaltone” e l’eterna inimicizia dell’allora Cavaliere e dell’intero centrodestra.
Questo per dire di Oscar Luigi Scalfaro. Né è stato diverso per Giorgio Napolitano. Anzi. Perfino difficile tenere il conto dei muro contro muro sostenuti con Silvio Berlusconi e delle tensioni via via crescenti che hanno segnato i rapporti col suo partito di provenienza. “Re Giorgio” (definizione coniata dal New York Times per la sua «maestosa difesa delle istituzioni italiane») ebbe tensioni e scontri sia a destra che a sinistra. Fu accusato di filo-berlusconismo per aver firmato il cosiddetto lodo-Alfano (incassò anche una richiesta di stato d’accusa dai cinquestelle...) e poi di «tradimento della Patria» per aver messo in pista Mario Monti al posto di Berlusconi nel drammatico novembre del 2011.
Per colmo dell’ironia, in quell’autunno entrò in rotta di collisione anche con Pier Luigi Bersani, fautore di nuove elezioni piuttosto che della nascita di quel governo tecnico. Una situazione che si ripropose tre anni dopo con Matteo Renzi: anche a lui venne profondamente modificata la lista dei ministri ed anche a lui negò elezioni anticipate dopo la sconfitta del 4 dicembre 2016, favorendo la nascita del governo Gentiloni. Tensioni e scintille anche tra ex compagni di partito: a conferma che davvero, una volta eletto, il Capo dello Stato è un uomo solo, difeso quasi esclusivamente dai dettami della Costituzione.
Storie di scontri e di bracci di ferro. Che non cominciano certo oggi. Oggi, piuttosto, la novità sta in «linguaggi politici» che quasi impediscono una corretta comunicazione: e nella nascita di un esecutivo «di lotta e di governo» dal quale pare lecito attendersi di tutto. Comprese minacce e comizi da questo o quel tetto nel centro di Roma.