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 2018  maggio 25 Venerdì calendario

Tania Cagnotto intervistata da Gianni Mura


BOLZANO Eccoci nella capitale dei tuffi. Otto Casteiner, padre di Carmen, madre di Tania, fu tra i pionieri, con Carlo Dibiasi, padre di Klaus. Tania Cagnotto, seduta sul divano, sta allattando la piccola Maya. Giorgio, suo padre, completa il quadretto familiare. Fa da jolly: risponde al citofono, al telefono, organizza la giornata alleggerendo i compiti a Tania, che dice: «Fare la mamma è bellissimo, non credevo però che fosse così faticoso». Giorgio non interviene nell’intervista, o meglio sì, due volte, a richiesta. Prima domanda rompighiaccio: perché l’avete chiamata Maya?«Io e mio marito volevamo un nome né italiano né tedesco. Allo stesso modo si erano comportati i miei genitori al momento di darmi un nome». Figlia di due tuffatori, per di più molto in gamba. Era inevitabile scegliere i tuffi?«No. Infatti comincio con lo sci, e secondo mia madre ero molto coraggiosa nei punti più difficili». Perché l’ha abbandonato? «Pativo il freddo. Così ho provato col tennis, ma mi annoiavo. Poi sono arrivati i tuffi». Chiedo conferma a Giorgio, e lui: «Come genitori non l’abbiamo assolutamente spinta. Molti nostri amici avevano bambini che si tuffavano, Tania è entrata in piscina perché con loro si trovava bene. Più che uno sport, all’inizio ha scelto una compagnia. Poi è venuto il resto».Tania, avere il padre per allenatore che effetto fa?«All’inizio, quand’ero molto giovane, tendevo a vederlo più come padre. Oggi posso dire che senza la sua esperienza, la pazienza, la cultura specifica non sarei mai arrivata dove sono arrivata».Ossia a vincere 62 medaglie così ripartite: 2 alle Olimpiadi (un argento e un bronzo), 10 ai mondiali (1,3,6), 29 agli europei (20,5,4), 9 ai mondiali giovanili (4,5,0) e 12 agli europei giovanili (9,1,2). Se aggiungiamo anche i titoli italiani, sono 47: 13 nel trampolino da 1 metro, 17 nel trampolino da 3 metri, 5 nella piattaforma da 10 metri, 12 nel trampolino sincro da 3 metri. A questo punto è inevitabile chiedere a quale risultato è più affezionata. «So che molti atleti privilegiano le medaglie olimpiche, ma il risultato di cui sono più fiera, e felice naturalmente, è l’oro mondiale di Kazan, nel 2015, trampolino da un metro. Un po’ perché nessuna italiana c’era mai riuscita ma soprattutto perché sugli altri gradini del podio sono salite Shi Tingmao e He Zi, le due cinesi più forti. In Cina i tuffi possiamo definirli sport nazionale. Hanno tantissimi praticanti, cominciano a quattro anni, s’allenano otto ore al giorno. Una vera potenza».In che rapporti siete, tra di voi?«Le cinesi sorridono, salutano, sono abbastanza simpatiche, ma tutto finisce lì perché non sanno l’inglese».Sto guardando una foto incorniciata, al muro: mostra due gambe, dalla caviglia in giù, e i piedi sulle punte, sull’orlo del trampolino.Potrebbe trattarsi di danza classica.«Sì. I tuffi rappresentano la ricerca della bellezza. Di più, della perfezione. Molti tuffatori provengono dalle palestre di ginnastica o dalle scuole di danza. Anche lì bisogna essere agili e flessibili».Josefa Idem m’ha detto che pagaiando si può essere pro o contro l’acqua. Lei in che rapporti è con l’acqua?«Odio sarebbe eccessivo, quindi posso dire che l’acqua a me è piuttosto antipatica. Mi pesava ogni giorno svestirmi, bagnarmi, asciugarmi, rivestirmi, asciugare i capelli, svestirmi e via daccapo.Per noi l’acqua non è importante se non per l’ingresso, occorre entrarci dritti come spade. Ma è un po’ come i materassini per i saltatori, e infatti in palestra ci alleniamo con i materassini. Non è importante avere con l’acqua un dialogo o una sensibilità particolare, tanto è sempre uguale. Il dialogo, il feeling, bisogna averlo col trampolino. È lui che condiziona tutto il resto. È lui che bisogna conoscere».Sua madre è stata una specialista dalla piattaforma, lei preferisce il trampolino. C’è un motivo?«Dalla piattaforma ho anche vinto, ma dal trampolino mi esprimo meglio».Le confesso la mia totale ignoranza. Guardo volentieri i tuffi per la ricerca di bellezza, o di perfezione, che li accompagna, come si diceva prima. Ma non capisco il sincrono, mi sembra una via di mezzo tra la tortura e il circo.«Be’, se uno non s’allena», e ride. Confermando la mia ignoranza, ho immaginato un sincrono con suo padre e Klaus Dibiasi. C’è chi è più alto chi più basso, chi più magro chi meno. E la fisica ha le sue leggi.«La chiave del sincrono è saper andare verso l’altra. Tutto qui. All’inizio di stagione ci preparavamo singolarmente, poi si passava al sincrono, tre volte a settimana. La Franci abita a Trento, qua vicino». (ndr: Franci è Francesca Dallapè, sua compagna nel sincrono. La coppia più longeva e vincente. Tutt’e due sono diventate madri, prima lei di Ludovica, poi Tania di Maya). Il momento più nero in carriera?«Londra. Mi sembrava di non essere mai stata così forte, al 100% fisico e mentale, e ho rimediato due medaglie di legno. Venti centesimi in meno nel punteggio mi hanno separato dal terzo posto. Sono arrivata all’appuntamento troppo magra, l’ho capito dopo. E troppo concentrata, forse. Ma è il destino: da quella fortissima delusione ho preso la forza che mi ha portata a Rio. Dopo Londra ho vissuto gli anni più belli». Adesso che ha chiuso con i tuffi, qual è il suo bilancio?«Positivo. Rifarei tutto. Tanti sacrifici, ma ne valeva la pena. I tuffi sono un paese piccolo, ma si gira tutto il mondo serenamente».Cioè senza odiarsi?«Ma quando mai. Massimo rispetto. Può esserci qualche piccola invidia o frizione all’interno della stessa squadra, ma le avversarie sono viste come amiche».Prime sensazioni?«Di libertà. Di non essere obbligata a ripetere gli stessi gesti. Di poter mangiare senza rimorsi un bel piatto di pasta o una fetta di torta quando ne ho voglia. Da atleta, le piccole infrazioni alimentari erano una e non di più ad ogni fine settimana. Di poter lasciare a casa le infradito per gustarmi un tacco 12. Piccole cose così». Ma ha chiuso davvero? «Bella domanda. La Franci è un martello». E su cosa picchia? «Sul fatto che chi smette può anche ripensarci. Dice: pensa come sarebbe bello andare a Tokio a cuor leggero, avendo già raggiunto tutto quello che potevamo raggiungere. Come sarebbe bello andare alle Olimpiadi da mamme.Un’occasione che non ricapiterà, bisogna prenderla al volo». E lei? «Io oppongo una resistenza morbida». Dice il padre: «Guardate che ci vuole tempo per rimettere bene in funzione i meccanismi». E Tania: «Lo so, è per questo che resisto, che nulla è ancora deciso». Da come lo dice, par di capire che la porta che dà su Tokio non è spalancata ma nemmeno chiusa a chiave. Si vedrà.