la Repubblica, 25 maggio 2018
Un quarto delle esportazioni di auto italiane è diretto in America
TORINOTra pochi mesi John Smith, funzionario di Williamsburg impiegato a Wall Street, potrebbe dover pagare il 25 per cento in più la sua Jeep Renegade perché Washington la considera un’auto straniera. La sola idea che una Jeep, iconica vettura americana, venga considerata dal fisco Usa alla stessa stregua di una Toyota, ha del paradossale. Ma se i dazi che intende imporre Trump seguiranno i criteri riferiti ieri dalFinancial Times, è molto probabile che il signor Smith debba pagare la soprattassa per poter salire sulla Renegade e andare a trascorrere il fine settimana negli Hamptons.Perché non conta la nazionalità del costruttore ma il luogo in cui un’auto viene prodotta. E sono straniere tutte quelle non realizzate sul suolo americano.La notizia non può che preoccupare l’operaio Pasquale Esposito che tutte le mattine raggiunge in autobus la piana di San Nicola, vicino a Melfi, e costruisce la Jeep Renegade nello stabilimento Fca. Perché nel 2017, in base ai dati pubblicati dalla Fim, lo stabilimento ha prodotto 177.352 Renegade e di queste, come riferisce il sito «Carsitaly.net», ben 103.434 sono finite in Usa. Dunque lo stabilimento lucano dipende per più di metà della sua produzione di Jeep dal mercato Usa. È chiaro che a subire gli effetti dei dazi saranno soprattutto le utilitarie premium, che hanno margini di profitto più ridotti delle vetture medie come la Alfa Stelvio e Giulia, prodotte a Cassino. Ma anche qui non mancano le preoccupazioni.Nel 2017, primo anno di vendite in Usa, il suv Stelvio ha venduto 2.721 pezzi oltre Atlantico sui 31 mila prodotti a Cassino. Mentre Giulia ha venduto in Usa 8.900 pezzi, il 9 per cento dei 100 mila prodotti complessivamente. Se lo stabilimento laziale è meno dipendente di Melfi dal mercato Usa, il polo del lusso torinese (Mirafiori e Grugliasco) lo è di più. Dei 55 mila tra Levante, Ghibli e Quattroporte realizzati nel 2017, più di 12 mila sono stati venduti negli States. Ma in questo caso l’effetto dei dazi potrebbe farsi sentire meno perché chi compera Maserati in Usa tende a non sottilizzare troppo sul prezzo.Ragionamento che vale ancor di più per i 2.500 acquirenti statunitensi delle Ferrari, più di un quarto dell’intera produzione dello scorso anno.Si tratta natuaralmente di ipotesi. E non è per nulla escluso che Trump, alla fine, decida di recedere dai suoi propositi. Anche perché una reazione simmetrica dell’Europa potrebbe far scendere, ad esempio, la produzione negli stabilimenti americani dove si realizzano le Jeep che vengono importate nel Vecchio continente.Il puzzle diventerebbe ancora più complicato se Washington decidesse di applicare lo stesso principio alle componenti. Il 70 per cento di un’automobile è infatti prodotto fuori dallo stabilimento di assemblaggio finale. E sarebbe praticamente impossibile rincorrere le singole parti di un’auto prodotta in Usa per scoprire se sono state costruite sul suolo americano o se, al contrario, sono state importate. Come considerare, ad esempio, i motori prodotti dalla VM di Cento, in provincia di Ferrara, e montati sulle auto prodotte in Usa?Tutti i ragionamenti fin qui fatti sugli stabilimenti Fca si possono applicare anche alle auto di lusso della Lamborghini, gruppo Volkswagen, costruite negli stabilimenti emiliani, come il suv Urus. In totale le auto costruite in Italia che finiscono sul mercato americano sono oltre 130 mila, il 23 per cento dell’intera produzione nazionale (esclusi i veicoli commercali). Quante resteranno se Trump imporrà i dazi?