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 2018  maggio 25 Venerdì calendario

Trump vuol punire i costruttori automobili tedeschi, giapponesi e coreani

Dal nostro corrispondentenew york«Le automobili e i loro componenti sono cruciali per la nostra forza come Nazione». Si apre così il nuovo bollettino di guerra firmato Donald Trump: nel mirino ci sono paesi alleati come Germania Giappone e Corea del Sud, le cui auto rischiano dazi del 25%. Il comunicato della Casa Bianca prosegue: «Ho dato ordine al Segretario al Commercio di avviare un’indagine sulle importazioni di vetture, camion, e componentistica, per determinarne gli effetti sulla sicurezza nazionale dell’America». Angela Merkel è a Pechino quando arriva l’annuncio bellicoso, e viene “consolata” dal premier cinese Li Keqiang, che le promette una mossa di segno opposto: la riduzione dei dazi cinesi sulle auto d’importazione, dagli attuali livelli iper-protezionisti del 25% al 15%. I due concordano su un comunicato congiunto anti- trumpiano: «Cina e Germania sostengono il libero scambio e il multilateralismo». Li Keqiang aggiunge: «La Cina è aperta e si apre sempre di più». Affermazione tutt’altro che esatta: il mercato cinese è molto meno aperto di quello americano, non a caso i dazi “normali” che pratica da anni Pechino sono il quintuplo di quelli americani. Resta vero tuttavia che la Germania è uno dei paesi che hanno una bilancia bilaterale in attivo con la Cina. Ambedue hanno lo stesso modello di sviluppo mercantilista, cioè trainato dalle esportazioni, con macro- squilibri a base di avanzi commerciali col resto del mondo. L’intesa era già nei fatti, ora diventa esplicita politicamente in reazione agli atti di Trump.L’ultima tornata di dazi ( minacciati) tende a coalizzare contro Washington degli alleati storici: infatti i maggiori esportatori di auto negli Stati Uniti non sono cinesi bensì giapponesi, sudcoreani e tedeschi. Nel mirino finisce anche il Messico, non con marche sue bensì con fabbriche “maquiladoras” dove vengono assemblati modelli della Ford e General Motors nonché altre auto giapponesi e tedesche.Per quanto Toyota e Nissan e Honda da una parte, Volkswagen e Bmw e Mercedes dall’altra, abbiano investito da decenni per “americanizzarsi” insediando fabbriche sul territorio Usa, resta una quota importante delle loro produzioni che viene dai paesi d’origine e quindi ricadrebbe sotto la mannaia dei dazi. Non a caso ieri tutti i titoli delle case automobilistiche hanno subito perdite in Borsa.Le giapponesi Toyota e Nissan l’anno scorso hanno esportato negli Stati Uniti 1,7 milioni di auto per un valore di 41 miliardi di dollari. Per quanto riguarda le marche europee la parte del leone spetta alle tedesche: più di metà dell’export Ue negli Stati Uniti è loro. Volkswagen- Audi, Bmw e Mercedes, a parte i modelli assemblati negli Usa, hanno esportato dalla Germania 1,2 milioni di vetture per un fatturato di 43 miliardi. Anche in questo caso come per la Cina, Trump può far valere asimmetrie e mancanza di reciprocità: l’Unione europea applica dazi del 10% sulle auto made in Usa, mentre gli attuali dazi americani sono appena un quarto: 2,5%. È uno dei tanti casi in cui il presidente può dimostrare con i dati che il mercato globale «non è un terreno di gioco piatto», ma è inclinato a favore di qualcuno. Resta il fatto che l’ennesima dichiarazione di guerra commerciale apre contraddizioni interne agli Stati Uniti. Contro il presidente è sceso in campo un notabile repubblicano come Orrin Hatch, che presiede la commissione Commercio estero del Senato: «Pessima idea, questi dazi li pagheranno le famiglie, i consumatori, che hanno il diritto di comprare auto straniere e ora le pagheranno più care». La contraddizione più acuta riguarda le multinazionali Usa dell’auto, che hanno fabbriche delocalizzate in Messico.Come molte dichiarazioni bellicose di Trump, è sempre possibile che la questione si risolva con dei compromessi. Anche perché l’indagine avviata dalla Casa Bianca dura fino a 270 giorni, quindi i risultati non si conosceranno prima delle elezioni legislative di novembre. Intanto il messaggio chiaro è stato lanciato proprio agli elettori del Midwest che lo votarono nel 2016: Trump mantiene le promesse.