la Repubblica, 24 maggio 2018
Depardieu in cucina
Il padre Dédé cucinava il polmone di vitello, l’amico senese gli prepara la fiorentina o il piccione ripieno e lui, chef per amore, si diletta con il pollo di Bresse. L’attore Gérard Depardieu racconta i suoi primi 70 anni in cucinadiPARIGI I l portone verde nasconde un piccolo cortile, superato il quale si entra nella grande casa di Gérard Depardieu a Parigi. Rue du Cherche-Midi, sesto arrondissement, davanti a “Le Bistrot Landais”, un locale aperto da una ventina d’anni, molto frequentato a pranzo, dove servono un buon côte de boeuf. L’attore francese con passaporto russo, sempre in viaggio per lavoro, si concede ormai rare soste nella dimora parigina in cui ha voluto ricavare, in un’ala distaccata dall’abitazione, una cucina professionale con banchi in acciaio e una linea di cottura degna di un ristorante stellato. A dire il vero non l’ha mai usata. L’Obelix della saga cinematografica ispirata ai fumetti di Goscinny e Uderzo, il premuroso cuoco François Vatel nel film di Joffé, preferisce cucinare per sé e le persone care nel più modesto cucinino che si trova nel salone al pian terreno, sotto la sua camera da letto. Una piastra, un forno in ghisa, il frigo dove non manca mai la senape di Digione e il pâté di olive nere, e un freezer pieno di pacchi di pollo di Bresse comprato nella macelleria di rue des Belles Feuilles. Incontriamo Depardieu nella sua casa e alcuni giorni dopo di nuovo a Ginevra, dove ha tenuto un “concerto per Barbara” al Théâtre du Léman. Quest’anno Gérard compie 70 anni (è nato nel dicembre del 1948 a Châteauroux), un’occasione per parlare dei piatti della sua vita e del pranzo che vorrebbe preparare per il suo compleanno.Depardieu, le piace ancora cucinare?«Leggere nel silenzio e cucinare sono le cose che continuo ad amare di più. Quelle di cui ho più bisogno, soprattutto ora. Sono stanco, viaggio molto, non tollero più la stupidità, l’ignoranza, ma non ho perso l’appetito di vivere. I libri sono la salvezza, li leggo mentre sono da solo, in pace, e mi sento bene. Così quando cucino per gli altri, sto pensando a loro. Cucinare è condividere, è l’incontro».La cucina è cultura?«Sì, quando dietro c’è grande semplicità. La cucina è cultura se si prende il meglio di ciascun ingrediente per preparare un buon pasto e se si ha conoscenza della storia che c’è dietro ogni prodotto. Può essere quella di un contadino, di un allevatore, di un pescatore. Io cerco queste storie nella cucina».Che sapore hanno i suoi ricordi d’infanzia?«Sono nato in una famiglia numerosa, eravamo poveri. In casa si mangiava la carne soltanto la prima settimana del mese, se il macellaio ci faceva credito. E di solito era carne di cavallo, la meno cara. Mio padre, il Dédé, ci faceva il ragù e con quello si potevano riempire le patate».Quali sono i suoi piatti del cuore?«Ho sempre adorato i cibi che cuociono lentamente, anche per molte ore, anche una notte intera, come l’agnello al forno con le patate, o ilpot- au- feu, lo stufato di manzo. Anche il coq au vin, altro classico stufato della cucina francese, il pollo va cotto pian piano nel vino con bacon, funghi e cipolline. La trippa, stessa cosa. Più lentamente cuociono le pietanze e meglio si mescolano tutti i succhi delle carni e delle verdure. Mi piace anche la cucina degli scarti. Ci sono prelibatezze che altri buttano e che io mangio».Per esempio?«Il polmone del vitello. Dédé lo cucinava. La casa era invasa da un profumo incredibile, la carne, la cipolla, l’aglio, il vino. L’insieme dei sapori stuzzicava l’appetito. I macellai di solito buttano via quelle parti. È sempre stato così, il quinto quarto è il cibo povero, lo scarto che si lasciava ai lavoratori del macello. Con gli scarti, o anche con quello che si avanza a tavola, si possono fare ottimi piatti. È la cuisine des restes. Lì c’è la memoria del sapore e della tradizione popolare».Mi sono accorto che quando lei cucina c’è spesso un sottofondo musicale. Come mai?«Mi piace il momento della mattina, la preparazione di un pranzo. Quel tipo di quiete. Mi dà gioia cucinare o apparecchiare la tavola ascoltando musica classica alla radio su France Musique, i capolavori di compositori come Berlioz, Beethoven, Ciajkovskij, o le registrazioni del mio amico Riccardo Muti».Anche se si considera cittadino del mondo, l’Italia è la sua seconda casa, come la Russia. Ogni tanto passa a Lecce o a Pantelleria. Ha qualche piatto preferito della nostra cucina?«A Petroio, una frazione di Trequanda vicino a Siena, ho un amico che fa un olio superbo. Quando vado a trovarlo, Franco Bardi e sua moglie Lucetta mi preparano le pappardelle al sugo fatto in casa, una bella fiorentina o il piccione ripieno con le patate arrosto. Mi piace molto anche il girello sempre di bistecca e il prosciutto toscano. La carne toscana è tutta buona. Per farmi contento comunque mi basta anche un piatto di penne all’arrabbiata o uno stinco di maiale».Ha preso casa nelle campagne della regione di Saransk in Russia. Si trova bene lì?«Dove abito c’è un fienile accanto alla casa, con una mucca, tre capre e un maiale. I caseifici da quelle parti non sembrano centrali nucleari come i nostri. La gente fa ancora lo yogurt e la ricotta in casa».È stato invitato all’insediamento di Putin al Cremlino. Lei è un suo sostenitore, ha la cittadinanza russa, e per queste scelte si è attirato molte critiche in Europa. Cosa pensa delle politiche agroalimentari in Russia?«Il governo sta seguendo la strada giusta. Putin sta incentivando le coltivazioni agricole biologiche che non utilizzano pesticidi e fertilizzanti chimici. Mi sembra un passo importante».Una volta l’ho intervistata a Marsiglia. Ricordo che nella sala colazione del Sofitel Hotel aveva preso una fetta di bacon con le mani e l’aveva mangiata senza neanche sedersi al tavolo.Quanto conta la fisicità nel suo rapporto con il cibo?«Per me è tutto. Toccare il cibo cambia la percezione del gusto, infatti preferisco mangiare usando le mani piuttosto che le posate. Mi piace associare il tatto al gusto, abbinare questi due sensi».È vero che quando va in un ristorante le viene voglia di entrare nelle cucine?«Lo faccio spesso. Devo andare a vedere, ad annusare. Mi interessa chiedere informazioni ai cuochi sui prodotti che usano, sulla preparazione di un piatto».Che cosa ha perso la Francia con la scomparsa di Paul Bocuse?«Un cuoco straordinario, geniale. Ho amato la sua cucina, la sua fantastica soupe aux truffes noires ».A Parigi vicino all’Opéra e alla Bourse ci sono molti locali storici, come la “Brasserie Gallopin”.Si può definire storico anche il suo ristorante “La Fontaine Gaillon”?«Ormai è un indirizzo molto conosciuto. Di recente ho cambiato cuoco, ho preso il secondo di Guy Martin de “Le Grand Véfour”. Vogliamo proporre una cucina molto buona ed onesta. La Fontaine è un angolo magico di Parigi, l’edificio seicentesco di Place Gaillon è stupendo, ma in generale delle proprietà non mi interessa più nulla. Voglio essere libero. Voglio viaggiare e conoscere».Dove andrà prossimamente ?«A fine maggio sarò in Canada per altri due “concerti per Barbara”, al Grand Théâtre de Québec e all’Olympia de Montréal. Poi andrò in Turchia, Algeria e a Dubai. Continuo a girare film, anche se sono stanco. È uscita la nuova opera di Guillaume Nicloux, Les confins du monde, e la commedia molto divertente di Daniel Auteuil, Amoureux de ma femme ».Come si sente a un passo dai 70 anni?«Come un vecchio ragazzo, pieno di acciacchi, ma mi sento bene».Ci dica un piatto che vorrebbe cucinare per il suo compleanno.«Potrei preparare una poularde de Bresse al tegame. Cinque ore di cottura, con porri, carote, cipolline, carciofi, asparagi e l’aggiunta di sale e tartufo nero».Per un finale dolce cosa sceglierebbe?«Non amo tanto i dessert. I gelati sì, li mangio, meno gli altri dolci, ma se sono a Parigi vado a comprare le torte da Dalloyau in rue du Faubourg Saint-Honoré».