la Repubblica, 23 maggio 2018
L’amaca
Prendendo per buono lo schemino di Matteo Salvini, secondo il quale il vero scontro politico in atto, in Italia e nel mondo, sarebbe “popolo contro élite”, colpisce notare l’impressionante e inattesa forza numerica dell’élite. Concessa a Salvini e Di Maio l’esclusiva della difesa degli interessi popolari, si arriva al 50 per cento dei votanti (32,7 + 17,3). Se ne deduce che l’altra metà degli italiani fa il tifo per l’élite o ne è addirittura parte, e il derby tra le moltitudini insorgenti e gli inquilini del Palazzo sarebbe dunque in sorprendente equilibrio.
Poiché non esiste un Palazzo così capiente da contenere tutti quelli che non votano per Salvini o Di Maio; e poiché tra le fila leghiste e grilline ci sono, magari ben camuffati, anche professoroni, e fior di benestanti e di confindustriali; se ne deduce che quello schema (popolo contro élite) è solamente uno slogan, e non dei più efficaci.
Non esiste “il popolo”, esistono semmai molti popoli in uno, milioni di individui dagli interessi non sempre coincidenti e dalle idee spesso difformi. Basterebbe, a dimostrarlo, il vivace dibattito intorno all’Ilva, con le migliaia di operai (popolo, no?) non proprio convinti che la chiusura, che è tra le opzioni degli “amici del popolo” alle soglie del governo, sia la soluzione migliore per loro. Ecco dunque una buona ragione per smetterla di chiamare “populisti” i populisti. Gli si regala una rappresentatività specifica che non meritano. Si trova popolo anche altrove, con altri nomi e altre intenzioni. Il popolo che sta all’opposizione.