La Stampa, 23 maggio 2018
Non fare la Tav significa isolare l’Italia
Il cronometro sul muro all’ingresso della sede della società incaricata di realizzare il tunnel alpino della Torino-Lione (Telt) segna il tempo che manca per arrivare alla data prevista per l’inaugurazione della mega-galleria. Ieri ne mancavano 4241 ma «i prossimi 15 mesi saranno decisivi soprattutto per i finanziamenti dell’Ue perché ci sono tanti Paesi e altri corridoi merci, a partire dal Baltico, che aspettano il passo indietro dell’Italia per prendersi i fondi miliardari che Bruxelles investe su questa tratta». Jan Laurens Brinkhorst, il coordinatore Ue del corridoio Mediterraneo, è arrivato a Torino per partecipare alla riunione della commissione italo-francese sulla Tav per difendere «un progetto che in Italia si continua a presentare come bi-nazionale ma che, invece, è strategico per tutta l’Unione che lo finanzia al 40%, più di quanto facciano i due Paesi».
Soldi contesi
Degli 8,5 miliardi necessari per costruire la tratta transfontaliera, infatti, Bruxelles ne mette a disposizione 3,4 miliardi. Normalmente il rappresentante dell’Ue non partecipa a queste riunioni tecniche ma a Bruxelles sono preoccupati dalla linea della maggioranza giallo-verde, soprattutto dagli affondi del capo politico del M5S e così hanno deciso di far scendere in campo l’ex ministro olandese. Nei giorni scorsi, Luigi Di Maio non ha smesso di ripetere che la Tav «è superata», che «poteva servire 30 anni fa» ma che adesso «non serve più». E così Brinkhorst va all’attacco: «Allora il tunnel non aveva questa importanza, la situazione di movimento delle merci era marginale, solo nel 1992 sono iniziati i grandi scambi interni e solo allora sono state abbandonate le divisioni tra Paesi». Dunque «non so come faccia il signor Di Maio, che di anni ne ha 31, a dire che la Torino-Lione aveva senso allora e non oggi. È proprio oggi che non solo Italia e Francia ne hanno bisogno ma tutta l’Europa».
Troppi Tir sulle strade
L’obiettivo europeo è di facilitare i traffici dal Sud dell’Europa, Spagna e Francia in particolare, e l’Est a partire dall’area danubiana ma evitando di far viaggiare le merci su gomma. «La dimensione ecologica è fondamentale. C’è la CO2 rilasciata, i camion che attraversano la parte Sud del Mediterraneo, e l’Italia è un grande asse di spostamento delle merci. Vogliamo creare un muro attorno all’Italia, come fa Trump con il Messico?». E ancora: «Io non credo ai muri, ma le Alpi non consentono accessi tra Ovest e Sud, quindi nel momento in cui l’Italia deve restare membro fondamentale della Ue, mi pare curioso ci sia qualcuno che vuole tirare su un muro anziché buttarlo giù. L’Europa finanzia l’opera per buttare giù i muri».
Ad oggi l’Ue ha impegnato circa 1,5 miliardi. E poi ci sono anche i fondi della Francia. Che succederà in caso di addio ai lavori da parte italiana? Brinkhorst non ha fatto una stima dei rimborsi ma ha precisato che «il costo sarebbe molto alto». E ha spiegato: «Non voglio pensare che tutti i soldi che sono stati stanziati per l’opera vengano sprecati. In Italia, inoltre c’è un tasso di disoccupazione alto, ad oggi almeno 800 persone sono già impiegate alla realizzazione dell’opera e il loro numero è destinato a salire di molto nei prossimi anni, fino a 3000. Davvero può l’Italia pensare di fermarla e permettere che cosi tante persone perdano il lavoro?». Senza dimenticare che «molti in Europa attendono con impazienza la realizzazione della Torino-Lione, quindi il suo mancato completamento avrebbe contraccolpi negativi anche sui Paesi vicini»
Addio stazione dell’archistar?
Ma a Torino ha parlato anche un rappresentante francese. L’ex sindaco di Chambéry, Louis Besson, capo della delegazione d’oltralpe nella Cig, ha ribadito che «il presidente Macron vuole con forza il tunnel» ma poi apre ad un possibile confronto a livello governativo. Ieri Laura Castelli, da molti indicata come possibile ministro delle Infrastrutture per il M5S, è tornata a ribadire: «Bisogna rivedere l’opera e stare all’interno dell’accordo Italia-Francia». E Besson ha fissato i paletti di questo percorso: «Rispetto le scelte degli elettori italiani ma sono stati presi degli impegni. Mi auguro che prevalga il buon senso. Se sarà necessario, potremo sederci attorno a un tavolo e capire i punti che si posso migliorare, e che cosa possa essere ri-discusso anche se per quanto riguarda la galleria di base l’Italia ha già ottenuto di cambiare il tracciato».
Dunque, piccoli ritocchi sono possibili ma il tunnel non si tocca. E nei giorni scorsi, Paolo Foietta, commissario italiano Tav, ha ipotizzato i possibili interventi correttivi. Ad esempio, «non costruire la nuova stazione di Susa (progettata dall’archistar giapponese Kengo Kuma, ndr.) e utilizzare Bussoleno». E poi si possono anche immaginare modifiche alla tratta nazionale soprattutto nella piana che dalla Bassa Val Susa arriva a Torino.