la Repubblica, 23 maggio 2018
Ritratto di Toni Morrison
Chi compra un Meridiano, immagino lo faccia perché quel certo scrittore lo conosce, e in tale veste autorevole e severa intende conservare nella propria biblioteca, se non tutte, almeno le opere più importanti che l’hanno portato alla fama. Nel nostro caso, la nota dell’editore ci rassicura: «A celebrare l’opera di Toni Morrison» sono stati convocati i migliori studiosi, che in modo diverso hanno tutti contribuito all’impresa. Marisa Bulgheroni firma una sapiente prosa dal titolo Due volte nera, dove esibisce con eleganza le sue profonde conoscenze di americanista; Alessandro Portelli aggiunge una introduzione densa e problematica, in cui ci invita a condividere la sua profonda ammirazione per una scrittrice che incarna alla perfezione quella che è per lui l’essenza della letteratura, ovvero la ricerca del bello e del bene. La cronologia di Chiara Spallino Rocca corona il manufatto con un ritratto intellettuale nitido, accurato e umanissimo. Quanto alle traduzioni (opera di tre ottime traduttrici: Chiara Spallino Rocca, Franca Cavagnoli e Silvia Fornasiero), i due romanzi L’occhio più blu e Beloved vengono presentati con il titolo più esatto. E lo stesso vale per il Canto di Solomon. E non è certo per puntigliosità innovativa, ma per profonda fedeltà al dettato di una lingua sulla cui musicalità tutti gli attori del Meridiano concordano: la cifra distintiva e il lascito imperituro di Toni Morrison è la sua speciale creazione di un tono basso e strisciante come il blues, che poi d’improvviso si impenna in assoli vertiginosamente lirici. Con in mano il prezioso volume, si possono oggi seguire le fasi della costruzione del mito Morrison, a partire da L’occhio più blu, felicissimo esordio, per continuare con Sula, il Canto di Solomon, Beloved, Jazz e Il dono. È senz’altro Beloved la prova di scrittura più audace, più originale e più compiuta, dove in un crescendo di variazioni dal fantastico al gotico all’horror Morrison dà voce a una storia “vera”, che usa come la chiave che le permette di contraddire la volontà di rimozione dell’enorme misfatto, che dall’origine deturpa l’ideale supremazia culturale dell’esistenza americana, ovvero la macchia della schiavitù. È questa la “macchia umana”, che non ha certo scoperto Toni Morrison, ma alla quale Morrison con impeto e dedizione contrappone l’altrettanto americana e altrettanto costante volontà di scavare e disseppellire le radici nascoste. Anche laddove le radici siano avvolte nel dolore dell’ingiustizia. Chi nasca nero, e voglia dire qualcosa «su che cos’è vivere ed essere umani nel mondo» magari nello sforzo di «trascendere il ghetto letterario» e raggiungere «una più ampia visione della tragica lotta dell’umanità» – è questo già lo sforzo di Ralph Ellison – non potrà non partire da quella ingiustizia, che anche se non direttamente patita, rimane inscritta nei geni dell’immaginazione nera. È così che l’impatto affettivo di certe esperienze si fa memoria collettiva, storica. In un’epoca lontana che chiamiamo tardo-antica, e poi in quel momento magico che fu per noi italiani il Rinascimento, ci fu chi sostenne che eros imprimesse immagini in un organo psichico chiamato pneuma, o spiritus. In un’epoca ormai altrettanto lontana, e cioè all’inizio del Novecento, Freud ci ha insegnato che l’immaginario è una Wunschphantasie, ovvero una fantasmatizzazione a occhi aperti, fortemente erotizzata che parte dalla pulsione e sostituisce un bisogno. Per Jung, era piuttosto l’aspirazione a raggiungere un equilibrio magico con il cosmo. In tutti i casi, la creazione letteraria viene intesa come qualcosa che nasce o sgorga nel campo della relazione tra l’immagine mentale, la memoria e il desiderio: è quello il suo dato fondativo. Di quella materia, e cioè della materia dei sogni (e degli incubi) sono fatti i romanzi, i racconti, la poesia. E per converso, dalla parte del lettore, l’ammirazione autentica del valore speciale di un racconto, un romanzo, una poesia, consisterà propriamente nella percezione del loro “miracolo”. Dal dolore possono nascere fiori, fiori del male. Morrison lo dichiara apertamente: la sua immaginazione si nutre dell’esperienza. E cioè, della sua differenza: lei è donna e nera. In questo senso, è una testimone. In questo senso, la sua arte è politica. Non ideologia, non propaganda, ma un atto di scrittura, che si accende per «un fuoco che viene da dentro». Così nelle parole della schiava adolescente Phillis Wheatley, un’antenata. Non a caso, la questione della differenza e della razza deflagrano in Morrison da subito. Ma con un lieto fine: essere donna e essere nera questa volta sono un atout. La blackness, medita icasticamente la nostra eroina, è un «punto di forza». Si conferma così, con la sua storia, che il grande e vero mito americano e afroamericano è quello del successo.