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 2018  maggio 23 Mercoledì calendario

Minoli si autocandida al cda Rai

roma Giovanni Minoli, è vero che si è candidato per il Cda della Rai?
«Ho inviato il mio curriculum, sì. Hanno detto che deve valere la meritocrazia. Qualche titolo credo di averlo».
Qualche titolo?
«Vabbè, diciamo che in televisione ho fatto praticamente tutto».
Programmi come «Mixer» oppure come «La Storia siamo noi» rimangono nella storia della televisione, in effetti...
«E perché la fiction Un posto al sole no?».
Cosa ha fatto lei in questa fiction di Rai3?
«L’ho fatta tutta io, semplicemente. E adesso è arrivata alla sua puntata numero 5 mila. Con un successo che ad alcuni sembrava impensabile».
Perché impensabile?
«Un posto al sole è diventata la più grande industria di Napoli, che dispensa 1.800 posti di lavoro. In venticinque anni ha mantenuto uno share dell’8-10 per cento nel prime time. È stata un’intuizione felice, questa fiction. All’inizio, però, tutti mi davano addosso per fortuna e a darmi soddisfazione ci ha pensato Umberto Agnelli».
Se dovesse diventare membro del Cda della Rai, qual è la prima cosa che vorrebbe fare?
«La Raivoluzione».
Ovvero?
«Per capire dobbiamo guardare quello che succede nella nostra televisione di Stato».
Da quale punto di vista lo dobbiamo guardare?
«Dalla produzione. Il 70-75 per cento del prime time è prodotto in outsorcing. Bene, e questo quando la Rai ha 15 mila dipendenti e circa 1.700 giornalisti».
Quindi? Cosa pensa? Che bisogna produrre tutti i prodotti interni alla Rai?
«No, non dico questo. Dico piuttosto che bisogna ripensarlo il servizio pubblico. Ristabilire le proporzioni».
Cosa intende?
«Se produci i tre quarti dei programmi fuori dalla Rai devi avere mille, non 15 mila dipendenti. E poi bisogna agire sul prodotto».
Cosa vuole dire?
«Bisogna partire da un progetto».
Quale?
«Raccontare le radici del nostro Paese. Guardiamo quello che ha fatto Marchionne».
Che cosa ha fatto Marchionne?
«È andato nella sua cineteca, ha tirato fuori la 500. Ha fatto un restyling e ha comprato la Chrysler».
Non è proprio così semplice...
«Ma partire dalle nostre radici è fondamentale. C’è tanto da raccontare in tutte le forme del racconto. È quello che ha sempre guidato il mio lavoro e che ho insegnato ai miei allievi».
I suoi allievi?
«Certo, sono tanti e tutti bravissimi. Da Massimo Giletti a Bianca Berlinguer, Milena Gabanelli, a Sveva Sagramola, Annalisa Bruchi. Sarà perché io ho otto fratelli, sono abituato all’allevamento».
Lei è stato anche direttore di rete?
«In Rai ho diretto Rai2, Rai3 e Rai Educational. Poi sono stato anche il direttore generale di Stream, ovvero l’antesignana di Sky. Ma non ho mai smesso di essere un autore. Sono sempre andato avanti con due cappelli in testa, uno da dirigente e un altro da autore. Ho fatto anche la radio, per quattro anni, a Radio24».
Ci pensava da tempo di entrare a far parte del Cda Rai?
«Veramente un giorno ho letto che Santoro ha annunciato di volersi candidare, io ho pensato fosse il caso di farlo, direttamente».
Il Cda della Rai scade tra poco...
«E speriamo che valga la meritocrazia. Per dirigere la televisione pubblica devi saperne qualcosa. Fino ad oggi la Rai è stata in mano di persone che sembravano passare di lì per caso».