Corriere della Sera, 22 maggio 2018
Nelle viscere di Marte
«Dobbiamo esplorare lo spazio perché è fonte di conoscenza ma anche di benessere per noi terrestri. Tante sono le applicazioni che ne derivano e volare nel cosmo ci consente di renderci conto del mondo intorno a noi con lo stesso spirito degli antichi navigatori. È una via meravigliosa per essere protagonisti del futuro». Amalia Ercoli Finzi racconta il suo mondo con il sorriso, soddisfatta della lunga storia che l’ha sempre vista attrice di primo piano. Fin da quando si laureava al Politecnico di Milano con 110 e lode, prima donna in Italia ingegnere aerospaziale. Ha collaborato a numerosi progetti spaziali ma è soprattutto la «signora delle comete» dopo aver ideato, realizzato e guidato uno degli esperimenti più importanti della sonda Rosetta dell’Esa europea arrivata in orbita alla cometa Churiumov-Gerasimenko. Amalia inventava uno strumento, una trivella, che doveva indagare le profondità del nucleo per rubare qualche mistero alla natura degli astri con la coda. Una spedizione tanto affascinante e complessa da diventare una storia romanzata da Tommaso Tirelli e appena uscita in libreria col titolo, appunto, «La signora delle comete» (Edizioni Dedalo).
«Le comete sono i corpi celesti più belli. Accendono la nostra fantasia girovagando nel buio cosmico, apparendo, avvicinandosi al Sole mentre dispiegano lunghissime code colorate. Continueremo ad indagarle anche in futuro perché tante sono le domande alle quali possono dare risposta. Nell’esplorazione ci muoveremo in molte direzioni. Continueremo ad approfondire la conoscenza dei pianeti, le loro lune e in particolare quelle di Giove e Saturno come Europa e Titano. Tutte ci aiuteranno a trovare indizi per la nascita della vita. Altrettanto i satelliti che guardano più lontano, oltre i confini del sistema solare, nella nostra galassia dove tanti sono i pianeti scoperti attorno ad altre stelle, portando il nostro occhio verso nuovi mondi sempre cercando tracce di una possibile vita». Amalia si concede una pausa tra le parole, quasi alla ricerca del pensiero e con un sospiro aggiunge: «L’idea di essere soli nell’Universo è fonte di profondo sgomento. Altrove, ne sono certa, c’è qualcuno. E la ricerca è difficile ma non impossibile».
Amalia collaborava a missioni dell’Asi che aprivano nuove finestre nell’esplorazione, come il satellite a filo «Tethered» che, penzolando dallo shuttle, generava elettricità, o il satellite astronomico Sax che spiegava l’origine dei lampi di radiazioni gamma, uno dei fenomeni più energetici ed enigmatici dell’universo. Inoltre, collaborava anche con alcune università americane agli studi per la stazione spaziale internazionale al fine di scoprire i comportamenti capaci di provocare rischi per gli astronauti. «Ora ci sono tante missioni in cantiere per l’imminente futuro che coinvolgono direttamente l’uomo – continua —. Tra queste, il ritorno sulla Luna e poi il viaggio verso Marte. È giusto cominciare dal nostro satellite naturale perché è più vicino e accessibile ed è un ideale luogo per la sperimentazione di nuove tecnologie e per lo sfruttamento delle risorse che offre. Andare su Marte è più complesso e, soprattutto, deve essere concepito come una missione dell’intera umanità non di un solo Paese. Perché lo sbarco sul Pianeta Rosso presenta una valenza direi filosofica, dal momento che ci troveremo in un altro mondo».
Ma Amalia, spaziale per natura, indosserebbe una tuta e volerebbe oltre l’atmosfera? «Il cosmo è la mia dimensione ma preferisco la stanza dei bottoni, governando le spedizioni. In fondo, ci si immedesima così profondamente che è come essere a cavallo di una sonda o a bordo di un’astronave».
Già dai primi anni la scienziata amava due cose: la matematica, dove riusciva bene a scuola, e la tecnologia: «Da piccola smontavo ogni cosa, soprattutto la bicicletta perché volevo capire come funzionasse». Ovvio, quindi che scegliesse la strada che l’ha portata alle stelle: «Mio padre preferiva che studiassi matematica ma, pur essendo autoritario, commise l’errore di lasciarmi scegliere e così mi iscrissi a ingegneria». Amando la ricerca e l’insegnamento, rimase al Politecnico, diventata la sua base di lancio: verso la formazione dei giovani e i progetti d’avanguardia. Rispettando sempre una regola interiore: «Nel mio lavoro affronto sempre cose nuove ed è una condizione ammaliante perché mi obbliga non solo a pensare ma soprattutto a sognare». In questo modo ha trascinato schiere di ragazzi ad appassionarsi allo spazio. Ragazzi diventati a loro volta docenti o uomini d’industria. Al Politecnico i suoi ex allievi la chiamano, riconoscenti, «la mamma» per come ha trasmesso la passione del futuro di cui sono oggi i costruttori. Nelle aule alla Bovisa, Amalia concepiva appunto la trivella volata sulla cometa. «Fu un’esperienza straordinaria – sottolinea —, perché dovevamo immaginare ogni dettaglio del suolo e ogni caratteristica del nostro strumento in modo che potesse compiere l’esplorazione». Il robottino Philae, che era sceso staccandosi dalla sonda-madre, arrivava in modo turbolento. Trasmetteva a Terra i risultati delle sue indagini ma non si sapeva esattamente dove fosse. «Dopo mesi di ricerche, gli occhi di Rosetta l’hanno finalmente fotografato dall’orbita e si vedeva bene la mia trivella, uscita regolarmente dalla sua custodia a 500 milioni di chilometri di distanza dalla Terra».
Costruita da Leonardo a Milano, adesso, nello stesso laboratorio è nata, sotto la guida di alcuni suoi allievi del passato, un modello ancora più lungo che arriverà su Marte. Sarà lo strumento più importante imbarcato sul rover Exomars dell’Esa che partirà nel luglio 2020. Una volta giunto a destinazione, scaverà sino a due metri di profondità assemblandosi, pezzo dopo pezzo, mentre scende e analizzando intanto con i sensori ciò che incontra. Infine, riporterà alcuni campioni di sottosuolo in superficie collocandoli nel laboratorio automatico a bordo del rover dove saranno analizzati cercando eventuali tracce di vita. La trivella, insomma, è una sorta di robot. «Questa missione è straordinaria perché affronta un’impresa mai tentata nemmeno dalle sonde della Nasa: è la prima volta, infatti, che si scende a esplorare le profondità. Le nostre università e le nostre industrie sono in grado di affrontare le sfide del futuro, nonostante lo scarso aiuto della politica. Oggi, tra l’altro, vedo un fiorire di interessanti iniziative imprenditoriali preziose per il Paese».
Amalia è sempre andata anche al di là della tecnologia avvicinandosi alla scienza di base dalla quale trae ispirazione. Non a caso concepiva dei teoremi che portano il suo nome e che adesso si studiano sui manuali. «Inizialmente insegnavo la meccanica razionale e volevo dimostrare sempre qualcosa di nuovo; così nascevano anche i teoremi». Poi passerà alla meccanica del volo spaziale: «I viaggi delle sonde interplanetarie sono governati dalle leggi di Keplero e, anche se non disponiamo ancora di motori dotati della potenza necessaria per cambiare facilmente destinazione, il Padre Eterno, con le leggi della natura, ci può portare dove vogliamo. E questo è magnifico».
Quando Amalia racconta, tutto sembra facile e soprattutto assume il tono di una meravigliosa avventura da affrontare. Senza mai allontanarsi, però, dal necessario rigore. Anche nei momenti difficili, come qualche ricordo che affiora dal Sessantotto. «Ero in classe e stavo spiegando, quando un gruppo di ragazzi contestatori spalancò la porta chiedendo l’interruzione della lezione. Nessuno dei miei allievi si alzò e andammo avanti come stabilito. Ciascuno doveva affrontare le proprie battaglie».
Ma proprio tra le battaglie Amalia suona l’allarme per risvegliare la coscienza femminile. «Un’insegnante del liceo – ricorda – mi ripeteva che se volevo davvero fare qualcosa ci sarei sicuramente riuscita. Conquistare la propria autostima è fondamentale ed è ciò che purtroppo manca a molte donne». E sorridendo continua: «Valentina Tereskova, la prima donna dello spazio, è una grande amica. Con lei ho condiviso tante occasioni e ogni volta il suo sguardo trasmetteva coraggio. Ecco quello che vorrei dire a tutte le donne: ce la possiamo fare».
Quando ha compiuto ottant’anni, tra un viaggio e l’altro e tra un comitato e una conferenza, il Politecnico le ha organizzato una festa con il rettore Ferruccio Resta e oltre cinquecento persone sono accorse nell’aula magna per ascoltarla. Qui, dopo aver parlato di scienza, ha offerto, con la battuta sempre pronta, una sua visione: «Io sono anche una mamma felice di cinque figli e vorrei ricordare le tre regole dei metalli vincenti per una donna: bisogna avere una salute di ferro, nervi d’acciaio e un marito d’oro; e io li ho avuti». E tutti hanno applaudito la «signora delle comete».