Avvenire, 20 maggio 2018
Nel 2030 la svolta dei robot umanoidi
L’appuntamento è per il 2030. Tra dieci, quindici anni, i robot umanoidi cominceranno a essere tra di noi. Nessun allarmismo. Sono due i settori in cui potrebbero giocare un ruolo chiave. «Nell’assistenza, con robot che opereranno nelle case e negli ospedali, aiutando soprattutto le persone anziane. Ma anche i robot di emergenza», che saranno protagonisti nei contesti più difficili, come a seguito di una calamità naturale, ovvero nelle situazioni interdette agli esseri umani. Durante Linkontro – l’appuntamento con la business community del largo consumo che si tiene annualmente a Santa Margherita di Pula – Daniele Pucci, a capo del Dynamic interaction control dell’Istituto ita- liano di tecnologia, tratteggia lo scenario futuro di questo settore.
A che punto siamo in vista del 2030? L’Iit ha un team che progetta, produce e sviluppa robot umanoidi. «Ci troviamo in una fase collaborativa, di affiancamento dei robot umanoidi alle attività fatte dall’essere umano», spiega Pucci. «I nostri interlocutori ci chiedono di implementare questa componente» dei robot.
Attualmente l’Iit dialoga con la Ue, che ha aperto bandi per sintetizzare le tecnologie in vista della robotica collaborativa, e con le aziende «che si rivolgono a noi perché cercano soluzioni concrete, soprattutto nell’area dello stoccaggio». Le sfide principali per portare questa tecnologia a uno stadio avanzato sono due. La prima è come trasferire le capacità di un essere umano su un robot umanoide. La ricetta, per Pucci, è «implementare l’intelligenza cognitiva con algoritmi di machine learning e migliorare l’intelligenza motoria» delle macchine. E poi c’è la questione occupazionale: le macchine sostituiranno l’uomo? Il professore di Macroeconomia dello Sda Bocconi Francesco Daveri per rispondere a questa domanda cita una ricerca di McKinsey che «stima che solo il 5% dei lavori sarà completamente automatizzato». «Il mercato indotto anche solo dalla manutenzione di queste piattaforme genererà nuove professioni – prosegue Pucci –. Per me il problema fondamentale è invece la flessibilità con il quale i professionisti riusciranno a passare da una professione all’altra. L’avanzamento della tecnologia richiede un approfondimento delle discipline di base e quindi una specializzazione».