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 2018  maggio 19 Sabato calendario

Michel Serres, Viva i giovani d’oggi

Ai
laudatores temporis acti
, i lodatori del passato che non resistono due giorni senza dire «ai miei tempi…» o «era meglio prima…» Michel Serres ricorda, per esempio, quanto fosse bello farsi «cavare i denti» (anche l’espressione è virilmente
vintage
) senza analgesici e antinfiammatori. Dall’alto dei suoi 88 anni Serres dice «io c’ero»: quando dilagavano povertà e fame, guerra e malattia, Hitler e Stalin. Nessuna nostalgia neppure di Hiroshima. Insomma a lui non possono raccontar favole e così rivendica la sua funzione di testimone d’accusa
Contro i bei tempi andati
. È questo il titolo con cui arriva in Italia il nuovo pamphlet che segue
Non è un mondo per vecchi
, bestseller che faceva l’elogio delle generazioni smanettatrici di smartphone.
Serres è un grande vecchio che ama i giovani, e proprio quelli di oggi, che in giro non raccolgono tante simpatie; lui non lo fa per giovanilismo, né per affetto bisnonnesco, ma per ammirazione sincera. Gli piace la loro testa diversa, il loro vivere nel virtuale.
Occitano, amico del fumettista Hergé e cresciuto con le avventure di Tin Tin, Michel Serres è anche «la mente filosofica più fine che esista oggi in Francia» (copyright Umberto Eco) e «il Montaigne dell’era digitale» (Le Monde). Epistemologo, professore di Storia della Scienza alla Sorbona e Accademico di Francia, ha insegnato 30 anni a Stanford, a un passo dalla Silicon Valley dove è nato quel nuovo mondo che a lui piace tanto. Insomma quanto di più lontano da una mente anziana. Invece, una mente filosofica che alle astrazioni preferisce la concretezza, e i concetti li trasforma in personaggi. Così per il pamphlet sulle nuove generazioni ha creato Petite Poucette, Pollicina, dai superpoteri dei pollici che digitano messaggi alla velocità della luce; mentre Vecchio Brontolone è il bersaglio di Contro i bei tempi andati.
Dal “laudator temporis acti” di Orazio al suo Vecchio Brontolone. Dopo millenni, sempre lo stesso vizio?
«C’è sempre stata in tutti i tempi una incomprensione fra le generazioni, una sorta di scarto fra nonni e nipoti. Ma oggi viviamo un’altra cosa, del tutto speciale. Una trasformazione di cultura unica nella storia, avvenuta su pressione della medicina che ha aumentato la speranza di vita e della digitalitazzione che ha cambiato le relazioni. Di conseguenza non è una questione di generazioni ma di cambiamento culturale profondo».
Lei dice che la Francia è un Paese brontolone. Gli Usa sono più simili a“Pollicina”?
«Nonono. Gli Stati Uniti sono un Paese vecchio, estremamente puritano, che ha difeso i costumi del XIX secolo. La società italiana è più gaia, la Francia è più rigida, critica».
Lei è un membro dell’Accademia di Francia… un covo di vecchi brontoloni?
«Dipende. Ce ne sono perché è un riflesso della società. I più brontoloni comunque sono i conservatori, perché non è questione di disciplina scientifica, ma di politica».
Perché si offende se le si dice “senior”? Si cerca solo di essere rispettosi…
«Io credo che quando si dice “senior” si voglia evitare la realtà, cioè che si è vecchi; invece si intende “no, signore, non voglio dire che lei…”. Bisogna dire il reale, semplicemente».
Difende la lingua francese dal dominio dell’inglese. Ma non è una contraddizione? È la lingua di Pollicina.
«In tutte le epoche ci sono state le lingue di comunicazione. Il Mediterraneo intero ha parlato greco, poi latino. Poi c’è stato il francese, parlato da quasi tutti i diplomatici, ora c’è l’inglese e non si può immaginare quale sarà la lingua di domani perché quella più parlata oggi è lo spagnolo. Ma c’è una grande differenza tra linguaggio di comunicazione e lingua dominante. Per le lingue latine, come l’italiano o il francese, io temo che l’abuso dell’inglese compia una sorta di distruzione culturale. Importare una lingua non è mai innocente».
Ammette altrove che un tempo si viveva insieme e oggi non si sa più fare squadra, coppia, parrocchia…
«La comunità è sempre più come quella su aerei e treni, i sedili sono piazzati in modo che si è raramente faccia a faccia, ci si dà le spalle, come se fosse meglio non parlarsi. Tutta la nostra società è costruita per l’individuo più che per la comunità. E molte comunità sono scomparse. Una delle grandi opere del mondo moderno sarebbe di inventare e costruire delle nuove appartenenze».
Fra le cose che non erano migliori un tempo c’è la salute fisica e mentale.
«È la cosa che è più cambiata. I miei genitori sono morti a 60 anni, la generazione prima a 40, quella dopo a 80».
Dedica una parte molto realistica all’igiene. I denti, la biancheria, perché?
«Sì, per me erano aneddoti divertenti ma dopo l’uscita del libro ho ricevuto lettere di donne di 70 anni che mi hanno scritto “l’arrivo in casa della lavatrice è stato il più bel giorno della mia vita”. Perché ha regalato di colpo tre ore di libertà a tutte le donne che conosco e di conseguenza è stato di grande importanza».
Alla fine riconosce che due cose forse eran meglio prima: matrimonio e eredità…
«Il balzo verticale della speranza di vita ha fatto sì che nelle generazioni in cui si muore a 80-84 anni, i genitori lascino l’eredità a figli che hanno almeno 60 anni, ereditieri vicini alla pensione. Così i patrimoni finanziari e immobiliari vanno a classi improduttive. I romanzi del XIX secolo, Balzac, Dickens, raccontano di trentenni che si mangiano l’eredità dei genitori. Impossibile oggi…»
Un’altra cosa che riconosce migliore “nei bei tempi andati” era il senso del bello…
«Le uscite dalle città in Francia, ma anche in Italia, sono copiate sulle vie americane. È un orrore assoluto, e mi stupisco che un paese che ha gusto accetti di costruire un tale squallore. Per questo dico che gli Usa sono un paese vecchio, il senso della bellezza noi europei lo condividiamo, loro non ce l’hanno».
L’ultima pagina del libro è un elenco di ciò che è meglio oggi: la pace, la longevità, la pace, gli antidolorifici, la pace, il welfare… ma proprio la pace è la più minacciata oggi.
«Non ho detto che oggi è meglio di domani. Dico che da quando abbiamo creato l’Europa non ci sono state più guerre all’interno dell’Europa. E anche in occasione delle crisi economiche, pure molto gravi, non abbiamo avuto guerre fra Europa del Nord e del Sud. E questo non succedeva dalla pax romana cioè almeno da due millenni ed è una novità straordinaria».
Lei ha figli, mai scappato un “ai miei tempi…”?
«Sì perché sono vecchio, ma non ho la tentazione costante di dirlo. Si tratta di non cedere alla soggettività».
Michele Serra – si chiama un po’ come lei – è stato attaccato per aver detto che il livello di educazione degli studenti è ancora proporzionale al ceto sociale di provenienza...
«Credo che questa ondata di violenza a scuola sia conseguenza di quel che abbiamo detto all’inizio, cioè che stiamo per diventare colonie americane. Sequestri e omicidi di insegnanti sono costanti negli Usa da decenni. Perciò io faccio l’elogio della cultura che stiamo per perdere, perché se perdiamo la nostra, quella che la rimpiazzerà sarà necessariamente di quel genere».