Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  maggio 19 Sabato calendario

Le sanzioni di Trump contro la Russia

La Casa Bianca sta allargando l’offensiva delle sanzioni contro la Russia a nuovi fronti. Dopo l’aggiunta di 24 nomi di funzionari e oligarchi russi alla lista nera di più di 200 vip moscoviti, a inizio di aprile, ora l’amministrazione Trump propone di punire il Cremlino per la violazione del trattato missilistico Inf e per il gasdotto Nord Stream-2. Intanto la Duma sta discutendo le ritorsioni da lanciare contro gli Usa e i loro alleati, inclusa la proposta di perseguire penalmente chi rispetta l’embargo, diretta contro le aziende e le banche occidentali che operano in Russia.
Parte dei Paesi dell’Ue vorrebbe aderire alla nuova campagna di sanzioni, altri – proprio ieri Angela Merkel è andata a Sochi per discutere con Vladimir Putin il Nord Stream – sono più cauti. Le nuove misure americane continuano la strategia delle «targeted sanctions», sanzioni mirate a singoli individui o aziende legate al Cremlino, e non alla popolazione russa o a settori di mercato.
Ma l’amministrazione Trump ha dato una svolta importante a questa strategia. Se dal 2014 a venire colpiti erano individui o enti direttamente coinvolti in Ucraina, in Siria o nei cyber-attacchi in Occidente, oggi l’obiettivo sembra quello di un assedio su tutto il fronte. Il nome più famoso tra i neo-sanzionati è Oleg Deripaska, tycoon dell’alluminio e amico di Putin, implicato nel Russiagate, che le sanzioni hanno portato sull’orlo della bancarotta. Ma ci sono anche nomi meno conosciuti, come Kirill Shamalov, classe 1982, diventato miliardario dopo aver sposato Ekaterina Tikhonova, campionessa di rock’n’roll acrobatico e vicerettore dell’Università di Mosca, ma soprattutto figlia minore di Putin, anche se il Cremlino si rifiuta di confermarlo.
Ora per attirarsi le sanzioni non bisogna avere responsabilità politiche, basta «aver beneficiato del regime corrotto» dice il segretario al Tesoro Usa Steven Mnuchin, e Shamalov – che intanto ha divorziato, perdendo il patrimonio – è stato colpito in quanto genero di Putin. A Washington leggono il blog sulla corruzione al Cremlino di Alexey Navalny, e mandano un segnale ai suoi protagonisti: chi si avvicina a Putin la pagherà. I ricchi e potenti russi, quelli che vogliono quotarsi a Londra, parlare a Davos, avere conti in Svizzera, e ville in Costa Azzurra, sono a rischio, e il clan familiare del presidente – nel governo ieri l’Agricoltura è stata affidata a Dmitry Patrushev, figlio del segretario del Consiglio di sicurezza – è avvertito.
Una strategia che più che spingere Mosca a più miti consigli punta a un «regime change», spingendo l’élite a chiedere a Putin un’inversione di rotta, oppure di abbandonare. Il dilemma è drammatico: nel sistema russo è impossibile avere denaro e potere senza essere più che leali al governo. Finora gli scontenti sono stati allontanati con discrezione, e centinaia di aspiranti mini-oligarchi sono pronti a rimpiazzare i vecchi amici di Putin, e di accontentarsi di una dacia a Sochi e non a Cap d’Antibes. Il segnale mandato da Trump però è stato recepito, e il dibattito in corso alla Duma sulle «contro-sanzioni» di ritorsione è insolitamente lungo e difficoltoso, mostrando che i margini di manovra di Mosca sono sempre più ridotti.