la Repubblica, 19 maggio 2018
Tery Gilliam e il suo Don chisciotte
inviata CANNES Sto bene, anche gli ictus non sono più quelli di una volta». Terry Gilliam, 77 anni, scherza sul malore che lo ha colpito una settimana fa, mettendo a rischio la sua partecipazione al Festival di Cannes. Eccolo al bar sulla spiaggia dell’Hotel Majestic: il codino grigio sempre più lungo, la camicia sgargiante sbottonata sul collo abbronzato, i jeans. Si sfila le ciabatte di cuoio e tira un sospiro di sollievo. La maledizione durata venticinque anni si è sciolta al sole della Croisette. The man who killed Don Quixote ha vinto anche l’ultima battaglia, legale, con il produttore Paulo Branco: stasera il film chiuderà l’edizione 71 e uscirà nelle sale francesi. Gilliam, felice che il Don Quixote arrivi in sala? «È un finale da favola per questo film che è stato un lungo durissimo viaggio e qualche volta è diventato anche un po’ un incubo. Ogni tanto mi sogno Paulo, mi pare che il progetto sia davvero decollato quando lui ne è uscito». Paulo Branco è qui alla Croisette. «Non lo vedo da un anno. Ah no, l’ho visto per qualche minuto alla corte di Parigi, camminava nel corridoio, aveva lo sguardo torvo di Malambruno (il gigante incantatore nemico di Don Chisciotte, ndr)». Da artista ha pagato un prezzo alto per realizzare il suo sogno. «Gli ho dedicato venticinque anni, probabilmente con questo film ho toccato tutti i record di traversie». C’è stato un momento in cui si è chiesto se ne valesse la pena? «No altrimenti non l’avrei più fatto. Ero ossessionato. E più mi dicevano “basta, mollalo”, più mi veniva la voglia di andare avanti. Farlo era il solo modo per liberarmene. A un certo punto è stato difficile per me distinguere cosa fosse il film e cosa invece la mia vita. Tutto è diventato confuso. Ma non ho voluto psicanalizzarmi troppo, ho seguito il flusso delle mie emozioni, delle idee». E ora? «E ora è fatta. Esiste. Il mio coinvolgimento ora è solo parlarne. È fantastico, è come partorire un figlio e vedere quanto è bello». È diverso dal progetto iniziale? «Sì, è molto meglio di quello che avrebbe dovuto essere all’inizio. È questo il punto. Se fossi rimasto all’idea originaria non sarebbe quel che è. Tutte le avventure del film e le persone che sono entrate negli anni lo hanno trasformato». Adam Driver è un grande mattatore comico. «L’ho scelto d’istinto, ben prima che diventasse un divo per Star Wars. È stato fantastico. Ha letto il Don Chisciotte di Cervantes e ha iniziato a spedirmi le pagine con tante piccole notazioni. Ho aggiustato il personaggio che avevo pensato per Johnny Depp e sono orgoglioso». I suoi set sono caotici come quello che si vede nel film? «I miei set sono come un’area giochi per bambini, io sono l’adulto che dice “tu mettiti qui e gioca e non dare fastidio agli altri”. Lascio la libertà agli attori. Mi piace lavorare con amici e penso sia molto pericoloso credere alla teoria degli “autori”, che sono il centro del film. Un film è un lavoro creativo e di squadra. Se si discute e ci si confronta e si prepara il set può andare avanti anche se un giorno ti ammali e sei in ospedale come è successo a me». Sente la stessa energia di vent’anni fa? «Sento la stessa energia, ma il mio corpo è in disaccordo. Mi alzo la mattina pieno di voglia di fare, ma poi non riesco ad alzarmi dal letto, non funziona niente...». La storia del suo Don Chisciotte è attuale ora come quando ebbe l’idea del film? «Sì. E poi noi comici fiutiamo il futuro. Ha presente la gag di Brian di Nazareth? “Stan?”, “No chiamami Loretta voglio essere una donna”?... oggi si discute dei transgender, i Monty Python affrontavano il tema trentacinque anni fa. E Brazil? Qualche anno fa sono andato in America e sono rimasto scioccato dal sistema di sicurezza dell’era Bush, ho pensato di fargli causa per aver fatto illegalmente il remake di Brazil». Anche Trump sta facendo il remake di un suo film? «Non riesco a scherzarci su. Per anni ho studiato il sistema politico americano e ho visto da lontano che l’era dei demagoghi sarebbe arrivata. Trump è un demagogo e l’idea che il suo potere si fonda sui tweet è straordinario. Ma è un diversivo: la gente parla di quello che lui twitta tutti i giorni e non si accorge delle cose che sta davvero facendo. Sta cambiando il sistema e tra qualche anno ci accorgeremo di quante cose è riuscito a distruggere». Cosa farà, ora che ha compiuto l’impresa? «Chissà (dice in italiano, ndr). Non ne ho idea. Mi sento di aver compiuto il mio lavoro. Ho un’offerta interessante nel teatro, nel musical. Ma il mio grande amore è il cinema».