la Repubblica, 19 maggio 2018
Fuga di capitali verso gli Stati Uniti
Milano Colpa di Donald Trump, che ha gettato lo scompiglio sui mercati, alzando oltre alle barriere con il Messico anche quelle del commercio internazionale, ripristinando i dazi. Ha creato un clima di incertezza sui mercati che, paradossalmente, ha finito per favorire proprio gli Stati Uniti. Il parere degli analisti finanziari è unanime: le politiche del presidente Usa sono alla base di un movimento sui mercato globali che sta spostando ingenti capitali da una parte all’alta del globo. Lo dicono i numeri, prontamente segnalati dalle principali banche d’affari nei report riservati ai loro clienti: i grandi fondi internazionali stanno disinvestendo dai paesi emergenti. Una fuga iniziata con l’inizio della primavera e che si è accentuata in quest’ultimo periodo: la settimana scorsa si è registrata la più grande fuoriuscita di denaro dai fondi che replicano gli indici azionari, mentre quelli che investono sui titoli di Stato hanno messo a segno un calo per la terza settimana consecutiva, la serie più lunga dalla fine del 2016. Oltre alle decisioni prese dall’amministrazione Trump, la fuga dai paesi emergenti è stata innescata anche dalla risalita dei tassi negli Stati Uniti, con i titoli di Stato americani che ora pagano più del 3 per cento di interessi. In altre parole: fino a quando i T-bond pagavano pochi centesimi di rendimento, i fondi in cerca di maggiori guadagni si sono rivolti ai paesi emergenti, dove il “rischio paese” era comunque compensato da rendimenti più alti. Ora che i tassi negli Stati Uniti sono risaliti ( sono previsti almeno tre- quattro rialzi nella seconda metà del 2018), i fondi non possono che disinvestire almeno una parte delle somme investite nei paesi emergenti per dirottarli verso i più sicuri lidi americani. C’è chi ha provato a fare due conti. Il Financial Times ha citato Epfr Global, una dei principali fornitori di dati per i gestori finanziari: nella prima settimana di maggio, la fuga di capitali dai paesi emergenti è stata di 1,6 miliardi di dollari soltanto tra i fondi che replicano gli indici di Borsa: si tratta del dato più alto dal dicembre del 2016. Ancora peggio è andata ai fondi che si occupano di investimenti in tasso fisso: in questo caso la “fuoriuscita” è stata pari a 2,1 miliardi di dollari. Trump e il rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve americana, per quanto rilevante, hanno solo una parte di responsabilità. Ma non mancano temi “locali”, con le preoccupazioni degli investitori che si stanno concentrando su alcuni paesi la cui economia sta subendo rallentamenti dopo alcune stagioni di crescita ( come il Brasile e l’Indonesia, ma anche la Turchia) o stanno attraversando un momento congiunturale particolarmente negativo. È il caso dell’Argentina, con il governo di Buenos Aires che ha chiesto l’aiuto del Fondo monetario con cui sta trattando proprio in queste ore un prestito di 30 miliardi di dollari, dopo che il peso si è svalutato di oltre il 20 per cento sul dollaro da inizio anno. Giusto per capire cosa stia accadendo sui mercati, soltanto due “divise”, tra le principali degli emergenti, non hanno perso rispetto al dollaro nell’ultimo mese, il peso filippino e il rublo. Tra gli addetti ai lavori, naturalmente, si è acceso il dibattito. Si tratta soltanto di un rallentamento dovuto a un “riaggiustamento” all’interno dei fondi di investimento che devono tener conto dell’apprezzamento del dollaro e dell’aumento dei tassi di interesse negli Usa o siamo di fronte a una fuga di capitali di massa che potrebbe avere ripercussioni più profonde e contagiare tutte le Borse? Secondo gli analisti della banca JpMorgan, la correzione in atto sugli emergenti è la classica opportunità d’acquisto. Per Ostrum, società che gestisce i fondi delle casse di risparmio francesi, invece la politica del presidente Trump nei confronti dell’Iran e il ripristino dei dazi «favorirà ulteriore afflusso di denaro verso gli Stati Uniti e il rafforzamento del dollaro». La soluzione potrebbe essere la terza via di un report T. RowePrice, società di investimenti attiva dagli anni ‘ 30: quanto sta accadendo renderà più selettivo il mercato, che tenderà a investire in quei paesi dalle economie più solide. Emergenti o meno.