la Repubblica, 19 maggio 2018
Fiammetta Borsellino in carcere dagli assassini del padre
PALERMO Dietro un vetro blindato, nei gironi del 41 bis, Fiammetta Borsellino ha guardato in faccia gli assassini di suo padre Paolo: Giuseppe e Filippo Graviano, i padrini che conoscono i segreti delle stragi. E ha iniziato a raccontare il suo dolore. Per un papà che non c’è più, per una verità che sembra ancora lontana. Uno, rinchiuso nel supercarcere di Terni, ha sorriso e ha assicurato di essere innocente. L’altro, recluso a L’Aquila, aveva lo sguardo perso nel vuoto. Fiammetta Borsellino non si è fermata, ha continuato a parlare del suo dolore, ma anche della vita che può rinascere. Ai fratelli Graviano ha detto: «Può vivere e morire con dignità pure chi ha fatto del male ed è però capace di riconoscere quel grave male che ha inflitto alle famiglie e alla società, è capace di chiedere perdono e di riparare il danno». Le parole di Fiammetta sono state chiarissime: «Riparare il danno per me vuol dire offrire un contributo concreto per la ricerca della verità». E non l’ha detto con il tono di un roboante appello antimafia al pentimento. L’ha detto con la schiettezza che era del suo papà, di sua mamma Agnese, la schiettezza che è dei suoi fratelli Manfredi e Lucia. Fiammetta ha ripetuto ai padrini delle stragi: «Dire la verità sarebbe un contributo di onestà per voi stessi. Perché chi uccide un uomo, uccide innanzitutto la parte migliore di sé». Ha fatto una pausa e ha detto ancora: «Soltanto contribuendo alla ricerca della verità, i figli potranno essere orgogliosi dei padri». Faccia a faccia Per due volte, la figlia del giudice Paolo ha ripetuto queste parole, un giorno di dicembre dell’anno scorso, poco prima di Natale. Da tempo voleva farlo. Ci pensava da mesi, da quando aveva lanciato il suo urlo durante l’intervista di Fabio Fazio: «Diamo un nome alle menti raffinatissime che hanno depistato le indagini sulla morte di mio padre», disse la sera dell’ultima commemorazione in Tv per la strage Falcone. Così, ha scritto al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, per essere autorizzata a incontrare i fratelli terribili di Cosa nostra rinchiusi al carcere duro dal gennaio 1994. E nel giro di poche settimane è arrivato il via libera del ministro della Giustizia Andrea Orlando. È stato un viaggio segreto, riservatissimo, da Palermo ai bracci del 41 bis dove sono detenuti gli irriducibili di Cosa nostra. La mattina, un’ora e mezza a Terni, a colloquio con Giuseppe Graviano, il capomafia del clan di Brancaccio che era l’orgoglio del capo dei capi Totò Riina: in Cosa nostra, lo chiamavano “Madre natura”, è stato condannato per aver realizzato le stragi Falcone e Borsellino del 1992, poi anche quelle di Roma, Milano e Firenze del 1993, l’anno in cui ordinò la morte di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio. Giuseppe Graviano dice di non riconoscere nessuna condanna, anzi sostiene di essere vittima di una catena di errori giudiziari. Nel pomeriggio, l’incontro con l’altro Graviano, Filippo, a L’Aquila. Erano inseparabili durante i mesi delle stragi, assieme all’uomo che ha già traghettato la mafia siciliana in un’altra stagione di complicità e misteri, Matteo Messina Denaro, diventato imprendibile dal 1993. La richiesta Le parole che si sono dette Fiammetta Borsellino e i fratelli Graviano restano per adesso un segreto. «La richiesta di incontro nasce come un fatto strettamente personale», ha scritto la figlia di Paolo Borsellino in una lettera che ci ha inviato quando le abbiamo chiesto un commento sulla notizia del suo incontro in carcere con i padrini delle stragi. «È stato un incontro guidato unicamente da un lungo, complesso percorso personale», ribadisce. E, adesso, vorrebbe tornare a incontrare Giuseppe e Filippo Graviano. Per proseguire quel dialogo intrapreso sul dolore e sulla vita. Ecco perché Fiammetta Borsellino ha presentato una nuova istanza alle autorità preposte, è necessario che si pronuncino le procure che indagano sui misteri di Cosa nostra, quelle di Caltanissetta, Palermo e Firenze, poi anche la procura nazionale. Non è ancora arrivato una via libera al secondo incontro. E lei non nasconde la sua delusione. «Con enorme dispiacere – dice – registro la mancanza di una risposta ufficiale da parte delle istituzioni. Ma è importante che io possa continuare quel dialogo che è stato interrotto», ripete. In questi mesi, Fiammetta sta facendo un percorso che passa dalle scuole dei quartieri difficili di Palermo e di altre città d’Italia, sta studiando le carte dei processi che hanno messo in evidenza il grande depistaggio attorno alle indagini sulla morte di suo padre. Fiammetta ha continuato a ribadire: «Abbiamo il diritto di sapere la verità». Nella sua istanza per i colloqui, ha ricordato una frase di sua madre: «Quando tornava dal lavoro, da giovane pretore, Paolo mi raccontava degli imputati che aveva giudicato. Sapeva vedere una luce anche nel peggior criminale».