la Repubblica, 19 maggio 2018
Il contratto Lega-M5s costa 170 miliardi
Il contratto firmato da Lega e M5S contiene una lunghissima serie di voci. Questo articolo cerca di quantificarne l’impatto annuale sul bilancio dello Stato, a regime. Le stime sono riportate nella tabella, divisa tra spese ed entrate, e sono soggette ovviamente ad amplissimi margini di incertezza. Le voci sono elencate in ordine discendente di importo. La colonna di sinistra indica il capitolo del contratto in cui la misura è indicata (alcune voci sono accorpate per permettere una quantificazione). Il contratto contiene pochissime indicazioni specifiche di copertura dei costi. La mia stima degli aumenti di spesa è di 78 miliardi; la stima delle riduzioni di entrate è di 91 miliardi. Il disavanzo aumenterebbe quindi di 169 miliardi, circa il 10 percento del Pil. Ovviamente, all’atto pratico non tutte queste misure saranno attuate, e molte saranno attuate solo parzialmente. La maggiore voce di spesa è nota: il reddito il cittadinanza (che entrerà a regime nel 2020). Ho mantenuto la stima di 17 miliardi delle versioni precedenti del contratto, anche se molte stime indipendenti parlano di 30 miliardi. Si noti un aspetto interessante dell’ultima formulazione, generalmente ma erroneamente interpretato come “il reddito di cittadinanza dura al massimo due anni”: il beneficiario dovrà necessariamente aderire a una proposta di lavoro proveniente dai centri per l’impiego, che non sono tenuti a fare più di tre proposte nell’arco di due anni. Nessun altro dettaglio viene fornito. Quindi un ex maestro elementare che si vede proporre tre lavori su una piattaforma petrolifera, o viceversa, perde il diritto (per sempre?) al reddito di cittadinanza se rifiuta. Per quanto riguarda la legge Fornero, il contratto sembra parlare di quota 100 (somma di anzianità contributiva ed età anagrafica) con un diritto alla pensione dopo 41 anni di contribuzione. Stefano Patriarca ha stimato il costo a regime di questa ipotesi a 16 miliardi. Vi è poi una serie di voci nel capitolo “Politiche per la famiglia”, che richiamano integralmente le proposte del programma elettorale M5S: ho quindi mantenuto la loro stima dei costi, a 14,5 miliardi. Il contratto contiene una serie molto estesa di investimenti in vari settori, dispersi in molti capitoli, senza alcuna indicazione di costo. La lista di questi interventi coincide in gran parte con quelli elencati nel programma M5S sotto le voci “Investimenti in settori strategici” e “Smart nation”: ho mantenuto l’indicazione di costo nel programma M5S, 15 miliardi. La pensione di cittadinanza si presta a interpretazioni diversissime. Se e quando sarà formulata esattamente, solo l’Inps potrà fare una stima abbastanza precisa del costo. Ma in base ai dati aggregati sulla distribuzione dei redditi pensionistici, e a ipotesi di contorno, stimo conservativamente 8 miliardi, che potrebbero diventare molti di più. Vi sono poi una serie di proposte non cifrate ma dai costi potenzialmente molto alti: difesa, sicurezza, fondo per la disabilità, politiche attive del lavoro, Banca degli Investimenti, revisione del bail-in. Conservativamente, ho cifrato 3 miliardi per il totale. Il capitolo 20 del contratto, sulla Sanità, parla di recuperare tutte le risorse tagliate in questi anni, e contiene una serie molto ambiziosa di interventi, volti a ridisegnare un sistema socio-sanitario “dall’ospedale all’abitazione”. Il capitolo Sanità del programma M5S indicava 2,5 miliardi, quasi certamente insufficienti per finanziare tutti questi interventi, e nonostante alcune generiche misure di risparmi di spesa. Ciononostante, ho mantenuto la cifra indicata nel programma del M5S. Il potenziamento dei centri per l’impiego costerà 2 miliardi, come indicato da tempo e ribadito nel contratto. Numerose voci riguardano la riforma della giustizia: non vi sono indicazioni di spesa, ma il programma M5S indicava 1,5 miliardi. Sul fronte dei risparmi di spesa, il contratto indica una “Drastica riduzione del numero dei parlamentari: 400 deputati e 200 senatori”. Il risparmio di spesa (necessariamente spannometrico, perché anche le strutture del Parlamento verrebbero tagliate) è di 300 milioni. Il ricalcolo contributivo dei vitalizi dei parlamentari porterebbe un risparmio di 150 milioni, secondo il presidente dell’Inps Tito Boeri; estendendo il ricalcolo ai consiglieri regionali, come previsto dal contratto, si potrebbero ottenere forse ulteriori 150 milioni. Dal ricalcolo contributivo delle pensioni superiori ai 5.000 euro mensili si potrebbe ottenere, secondo Boeri “Non per cassa ma per equità”, circa 900 milioni. Dal lato delle entrate, come è noto, il contratto parla di una flat tax (che non è più flat) con due aliquote al 15% e al 20% e una deduzione di 3.000 euro per componente del nucleo, come nella proposta originaria della Lega. Baldini e Rizzo su lavoce. info hanno stimato il costo di questa proposta in 50 miliardi di minori entrate, di cui ben 25 miliardi verrebbero risparmiati dal 10 percento più ricco della popolazione; una famiglia con un reddito di 50.000 euro risparmierebbe circa 2.000 euro. È molto difficile pensare che i rappresentanti del M5S si siano resi conto di ciò che stavano firmando. La nuova formulazione del contratto prevede anche le due stesse aliquote, al 15% e al 20%, per l’imposta sulle società, dal 24% attuale. Poiché il gettito attuale dell’ Ires è di 35 miliardi, ciò potrebbe facilmente comportare una perdita di gettito di 6 miliardi (anche se tutto dipende ovviamente da dove scatta l’aliquota maggiore). La sterilizzazione delle clausole di salvaguardia comporta, per il 2019, una perdita di gettito di 19 miliardi. Infine, il contratto parla di “riduzione strutturale del cuneo contributivo”, senza fornire cifre. Il programma del M5S indicava 11 miliardi. Una proposta di difficile interpretazione è quella di “eliminare la componente anacronistica delle accise sulla benzina”. Secondo voci di stampa, questa si concretizzerebbe in una riduzione dell’accisa di 20 centesimi, equivalente a una perdita di gettito di 6 miliardi. Infine, vi sono due voci che hanno riflessi solo contabili ma non incidono sulla spese e le entrate annuali: la riduzione del debito pubblico in misura corrispondente ai titoli di stato italiani posseduti dalla Banca Centrale Europea, e “scorporare la spesa per investimenti pubblici dal deficit corrente”. La prima sembra essere scomparsa dalla versione definitiva del contratto, ma non lo è: riappare a pagina 21 nella espressione “anche valutando nelle sedi opportune la definizione stessa di debito pubblico” (e si noti che nello stesso paragrafo fa capolino anche il concetto di moneta fiscale). La seconda proposta è di difficile interpretazione, perché per definizione già ora la spesa per investimenti non è compresa nel deficit corrente. Probabilmente i redattori del contratto intendono richiedere che la spesa per investimenti non sia inclusa nel calcolo del disavanzo utilizzato per il rispetto dei parametri di Maastricht. roberto. perotti@ unibocconi. it