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 2018  maggio 19 Sabato calendario

Alessia Zecchini, campionessa mondiale dell’apnea

È per via della piscina che è arrivata giù. Molto giù, dove il buio è totale e il silenzio non è paragonabile a niente. Una discesa senza errori, perfetta, fino a 105 metri dalla superficie, l’abisso toccato che vale il nuovo record mondiale di apnea con monopinna. È il cinque maggio, il luogo è l’Isola di San Andres, in Colombia. Alessia Zecchini è pronta al tuffo, deve battere il record del mondo (104 metri) che le appartiene e che aveva stabilito un anno fa alle Bahamas. Una gara contro se stessa. Si supera di cento centimetri.
Alessia è una campionessa giovane, figlia unica di venticinque anni, nata a Roma, quartiere Monteverde, dove già a sei anni suo padre l’accompagnava in piscina. Non le piaceva la vasca, non ci andava con piacere, tutto troppo artificiale, amava il mare. Ma è in piscina che un giorno ha capito che la sua vocazione era immergersi e vivere come un pesce. Aveva 11 anni. Nuotò venticinque lunghi metri con il corpo sott’acqua.
È rientrata dalla Colombia da pochi giorni. È influenzata. La voce è rauca. Forse lo sbalzo di temperatura, forse gli effetti della tensione. O il ritorno alla vita romana di superficie. A suo modo e nel suo regno, Alessia è un fenomeno (sportivo). Già a quattordici anni riusciva a nuotare per ben 125 metri sul fondo della piscina. Tre minuti e mezzo senza respirare. Così è ancora un’adolescente quando arriva la prima convocazione in nazionale. Non può gareggiare nelle competizioni ufficiali perché troppo piccola, ma è troppo forte per non farne parte. «Frequentavo atlete molto più grandi di me, incuriosite dalle mie prestazioni. Mi volevano bene». Agli allenamenti e in giro per l’Italia l’accompagnava il suo papà. Che per starle più vicino un giorno ha preso il brevetto da sub.
La tuta nera con l’enorme pinna di vetroresina o carbonio al posto dei piedi che la fa sembrare una sirenetta l’ha indossata a diciassette anni. Il primo oro l’ha vinto alle Bahamas. S’è inabissata in un buco lungo 202 metri. Silenzio e buio. Il battito cardiaco che rallenta, nessuna possibilità di commettere errori. La concentrazione è totale. Dopo trenta metri si immette aria in bocca, deve bastare per discesa e risalita (serve ad evitare che si rompano i timpani). Guai ad aprirla, un solo istante ed è finita. Bisogna tornare indietro. Da poco tempo Alessia ha un nuovo coach, si chiama Martin Zajac, della Repubblica Ceca. L’allena anche con tecniche mentali. «Mi insegna come non pensare a nient’altro che allo sforzo che sto facendo».
Alessia si allena quattro ore al giorno, molta piscina e palestra. Il record l’ha ottenuto nella disciplina del «monopinna». Le sue rivali sono tre giapponesi e un’ucraina, le sole donne ad aver superato la barriera dei cento metri. Il prossimo obiettivo è il record di «free immersion» che appartiene a una finlandese (92 metri). Alessia è arrivata a novanta. Per scendere così in basso non bisogna aver paura. «Non ne ho mai avuta, neanche quando avevo sei anni e andavo in acqua. Un ostacolo va superato. Punto e basta».
Non è uno sport che fa arricchire. Le vittorie regalano gloria ma non soldi. La Federazione sostiene le gare ufficiali. Sono gli sponsor che permettono ad Alessia di girare il mondo e allenarsi nei fondali con le balene blu in Sri Lanka o con gli squali alle Maldive. «Certo che li vedo, ma non attaccano, non vogliono la nostra carne. Sotto è così. Bellissimo. Il cuore rallenta, trenta battiti, la sensazione è che tutto sia più lento, il respiro, la visione delle cose. E sento il corpo, come se ne avessi pieno controllo».